Dopo un'opera affascinante, benché ostica, come il precedente Rasputin, Louis Nero continua a indagare, col suo occhio originale e fuori dai generi, tra le pieghe della storia. Lo fa confezionando, con questo Il mistero di Dante, un film che non è né documentario né fiction, ma che (come lo stesso regista ha voluto sottolineare) non è neppure classificabile con la consueta etichetta di docufiction. I due linguaggi, infatti, si fondono nel film di Nero senza soluzione di continuità, con le immagini animate che vanno a inserirsi sullo sfondo delle interviste, mentre la parte di finzione è raccontata di fatto come un mockumentary. Lo scopo: far luce sul "quarto livello di lettura" dell'opera letteraria per eccellenza, La Divina Commedia; nonché indagare sugli ipotetici legami del suo autore con un'antica setta esoterica, i Fedeli d'Amore. Il risultato è altrettanto ostico quanto il film precedente del regista, non equilibratissimo, ma sicuramente non privo di momenti di fascino.
Ne ha parlato, in conferenza stampa, lo stesso Louis Nero, insieme al produttore esecutivo Franco Nero (con cui il regista omonimo - nessuna parentela tra i due - sta così proseguendo il suo sodalizio artistico), al protagonista F. Murray Abraham (interprete sullo schermo del Sommo Poeta), a Gabriele La Porta e a Valerio Massimo Manfredi, presenti nelle varie interviste di cui il film si compone.
La lettura della Divina Commedia come "viaggio iniziatico" non è propriamente nuova. Perché non l'avete affrontata con un percorso, magari, un po' diverso dal solito?
Louis Nero: Nulla si inventa e nulla si cambia: in un lavoro come questo, si cerca solo di fare un adattamento. E' un lavoro che nasce innanzitutto da una mia ricerca personale, che poi ho portato nel film. Era inutile anche cercare di spiegare troppo: avrei solo cercato di spiegare qualcosa che invece dev'essere vissuto.
Io volevo semplicemente rappresentare un viaggio sotto forma cinematografica: ovvero, il mio viaggio nell'opera di Dante. Questo doveva consistere nel conoscere dapprima la simbologia, e poi provare ad attuare il messaggio che vi si nasconde. Conoscendo le persone che ho incontrato nel film, però, quest'idea si è anche un po' capovolta: ma spesso è così, si parte da un'idea e poi la si distrugge, perché ci si confronta continuamente con il mondo.
Abraham, com'è stato coinvolto nel film, e quanto conosce dell'opera di Dante?
F. Murray Abraham: Beh, semplicemente camminavo per strada e mi hanno chiesto "ti andrebbe di essere in un film?" Scherzi a parte, la domanda da porsi non è come Dante parli a noi oggi, ma piuttosto va esaminata l'idea di classico: perché un testo è un classico, perché dura, perché è universale, e cosa lo renda universale adesso, nei nostri termini. In questo tempo di crisi, la gente crede ancora che ci sia speranza, futuro? Un classico rappresenta questo, questa speranza. Ci sono stati momenti più brutti di questo, nella storia, ma siamo sopravvissuti: ora potremmo distruggere tutto con le armi nucleari, e quindi la domanda è la stessa sia adesso che allora: dove troviamo la speranza. Dante e Shakespeare hanno cambiato l'arte e il pensiero: ci fanno ricordare la nostra umanità in comune. Il concetto e la religione vivono insieme, ma oggi chi crede che ciò sia possibile? Oggi, il mondo è pieno di conflitti tra le religioni. Come si può cambiare ciò? Il lavoro di Louis è stato ispirato direttamente da Dante. Dovreste passarci solo 5 minuti, con quest'uomo: è completamente sincero, ha onestà e ispira fiducia. La risposta alla sua passione e sincerità è solo una: possiamo cercare la speranza. Possiamo credere che ci sia un futuro; io non so dove siano i leader mondiali, ora, ma dobbiamo cercarli, perché sappiamo che la verità esiste. Io ora farò un musical ispirato all'opera di Bertolt Brecht, L'opera da tre soldi: il mio ruolo sarà quello della voce di Brecht. Canterò una canzone che già lui cantò, che si chiama "La canzone inutile": questa dice "Se all'inizio non hai successo devi provare ancora, ancora e ancora. E se, nonostante tutto, non hai ancora successo, devi provare ancora e ancora" E poi aggiunge che in realtà è inutile, perché la nostra vita è troppo dura. Dal mio punto di vista, invece, è inutile non provare: l'autore della canzone sembra cinico, ma se lo fosse stato davvero, non l'avrebbe neanche scritta. Dante ha visto l'inferno e il purgatorio, e ci ha detto che c'è una via d'uscita. Il mondo, ora, ha bisogno di questa immaginazione. Il papa, per fare un nome, è un esempio di questa speranza.
Franco Nero: Dico la verità: in realtà la colpa è mia! Sono stato io a proporre il nome di Abraham a Louis.
Valerio Massimo Manfredi: L'esoterismo è sempre esistito, già nel mondo classico c'erano i misteri, ed erano per iniziati. La custodia del segreto, allora, era così rigorosa che violarlo comportava la pena di morte. Coloro che credevano di aver raggiunto dei gradi di coscienza superiore, non volevano inquinare questa conoscenza. L'uscita da un'era difficile e senza speranza è sempre segnata da un uomo che si fa guida, che custodisce questo sapere. L'epopea di Gilgamesh, per esempio, rappresenta l'uscita del genere umano dal neolitico: c'era, allora, un gruppo di persone che coltivava quella forza, quella capacità di vedere oltre. Omero rappresenta l'uscita dall'età del bronzo, che era un'età cupa, disperata: ma anche lui fu solo la punta di un iceberg di cui facevano parte migliaia di cantori di corte e di strada, che componevano il ciclo troiano. Dante rappresentava l'uscita dalla peste, dalla fame e dalla guerra, e l'ingresso nel Rinascimento. C'è sempre un uomo che è più avanti, che è capace di guidare i suoi fratelli verso la speranza: intorno a lui c'è sempre un gruppo che potremmo chiamare "di testa".
F. Murray Abraham: Il mio lavoro è proprio quello di rappresentare, come attore, il lavoro di questi iniziati, per renderli comunicabili. L'attore svela, fa capire alle persone la verità, ciò che sono nel profondo: è uno scopo che richiede molto lavoro.
Nel film, in effetti, si parla proprio degli attori come rappresentanti di un certo tipo di iniziati. In che senso esiste questo collegamento?
Gabriele La Porta: Per capirlo, consiglio di leggere il libro di Francis A. Yates, Gli ultimi drammi di Shakespeare. Un nuovo tentativo di approccio: lì, si racconta un approccio segreto, diverso, a ciò che sembra palese. Personalmente, porterò quest'opera all'università in cui insegno.
Io, ogni volta che studio questo o quel testo, mi accorgo sempre di nuove cose: non c'è mai troppo approfondimento, non bisogna mai sentirsi troppo a proprio agio con un testo.
La forma è quella di un documentario classico, ma c'è una sequenza iniziale girata come un mockumentary. Perché questa scelta? Louis Nero: Ho voluto ripercorrere, con le immagini, il viaggio di Dante. La persona, prima di aprire gli occhi, ha bisogno di rimuovere i preconcetti: prima di vedere, siamo ciechi. Questo è il senso di quella discesa dei due protagonisti con gli occhi bendati. La nostra sensazione di confusione è simile a quella che prova la donna: questo, finché non ci fermiamo e non rimettiamo in discussione i nostri preconcetti sul mondo.
La colonna sonora ha un peso notevole, i commenti sono molto presenti e a volte reiterati. Che rapporto hanno, nel film, le immagini con la musica?
Il suono è importante quanto l'immagine, se non di più: è il primo elemento con cui attrai chi vede. E' stato bellissimo lavorare col musicista, Steven Mercurio, perché aveva un'idea molto precisa di ciò che voleva fare. La musica d'epoca, in genere, ci ha dato molte informazioni sull'ambiente di ricerca.
Quanto tempo c'è voluto, in totale, per realizzare il film?
In tutto quasi due anni: prima di iniziare a lavorarci, ho trascorso molto tempo a contattare le persone giuste, a parlarci e a cercare di coinvolgerle nel progetto.
Che significato avevano gli sfondi in movimento, per rappresentare le immagini dantesche?
Il mio punto di partenza è stato il lavoro del pittore Gustav Doré: non potevo prescindere da ciò che aveva fatto lui, visto che aveva rappresentato perfettamente in immagini ciò che Dante aveva scritto. Comunque avessi girato il film, qualsiasi tecnica avessi utilizzato, ho voluto restare fedele alle sue immagini. Lì c'era già tutto, cambiarle avrebbe significato togliere qualcosa al film.