Non possiamo che iniziare questo articolo con una frase che più fatta di così non si può. Ma che, citando Thanos, è ineluttabile: cosa dire di Lo Squalo di Steven Spielberg che non sia già stato detto nel corso del suo mezzo Secolo di età? Parliamo di un'opera che ha fatto la storia del cinema. Oltretutto, fa parte della filmografia di un regista che di exploit leggendari ne ha avuti più di quelli che altri registi riuscirebbero ad avere in mille vite. Continuando con le frasi fatte, Lo Squalo, ispirato al bestseller di Peter Benchley del 1974 che venne ripulito delle svariate sotto trame non essenziali cinematograficamente da parte dello sceneggiatore Carl Gottlieb, ha inaugurato una vera e propria epoca, tutt'ora viva e vegeta: quella dei blockbuster estivi.

Anzi: fu proprio con Jaws, questo il titolo originale del lungometraggio, che la parola "blockbuster", originatasi inizialmente negli anni '40 del 1900 per indicare quegli ordigni sganciati da un aereo capaci di distruggere un intero isolato, venne adottata dal gergo cinematografico per indicare proprio quei lungometraggi ad alto budget ed elevati incassi. Ma Lo Squalo è anche una geniale riflessione sui meccanismi del mostrare e del non mostrare le cose sul grande schermo. Nello specifico: le cose che generano paura nello spettatore. Per tutta la sua durata, il film inquieta proprio perché la creatura si vede pochissimo. Anche se tutti, ieri come oggi, lo guardiamo proprio per lui. Nelle sue due ore circa di minutaggio, l'animale, il cui animatronic venne amichevolmente battezzato Bruce sul set in cui funzionava una volta sì e dieci no, compare a malapena per 4 minuti. 240 secondi che continuano a insegnare a ogni regista o aspirante tale come generare uno stato di costante brivido sulla schiena in chi guarda.
Un fan celebre: Steven Soderbergh
Nel bel mezzo della sterminata platea di estimatori de Lo squalo ci stanno anche tante celebrità della settima arte. E fra queste c'è anche chi come Steven Soderbergh ha sviluppato una particolare ossessione per l'opera tanto da essere al lavoro da parecchio tempo su un libro che ne racconta la genesi che servirà anche come vademecum sul come diventare un filmmaker attraverso il seminale lungometraggio di un regista che, nel 1975, aveva appena 27, 28 anni.

Non è né il primo né l'ultimo big di Hollywood ad avere una fissazione sul film specifico di un dato autore. Pensate a Lee Unkrich della Pixar. È una sorta di enciclopedia ambulante su Shining di Stanley Kubrick tanto da aver realizzato un tomo edito da Taschen che è la più completa raccolta di testimonianze e aneddotiche sul capolavoro ispirato all'omonimo romanzo di Stephen King.
Ma torniamo a Soderbergh che vide Lo Squalo quando aveva dodici anni in un periodo in cui un gruppo di giovani registi più o meno scapestrati stava rivoluzionando Hollywood. Ripensando a quell'esperienza in un'intervista concessa a Deadline, il papà di Sesso, bugie e videotape dice che rimase travolto a più livelli perché Lo Squalo era il "film più film" che avesse mai visto. E convinto che tutti i lungometraggi usciti quell'anno finendo poi nominati insieme a Jaws come Miglior film agli Oscar - Barry Lyndon, Quel pomeriggio di un giorno da cani, Nashville e Qualcuno volò sul nido del cuculo - siano delle grandi opere di cui, però, riesce a immaginare delle versioni dirette anche da altri.
"Sono tutti grandi film" dice Soderbergh che continua "però, direi che degli altri quattro che non sono Lo squalo, ci sarebbero potuti essere altri registi in grado di farne delle versioni. Forse non altrettanto buone o originali, ma sono comunque storie che potevano essere realizzate da qualcun altro". Quello del summer blockbuster per eccellenza era un caso a sé perché "non c'era nessun altro regista al mondo in grado di sopravvivere alla realizzazione di Lo squalo. Nessuno di quei quattro avrebbe potuto girarlo. Al contrario, Spielberg avrebbe potuto realizzare una versione di uno qualsiasi di quegli altri film. Lo squalo era un'opera completamente unica, realizzata da un talento completamente unico che stava esplodendo, ed è per questo che secondo me continua a splendere ancora oggi. Anzi migliora col tempo perché è tutto girato direttamente in macchina da presa".
Un film nell'acqua che faceva acqua
Effettivamente le riprese del progetto furono qualcosa di folle per gli standard attuali. La computer grafica non esisteva, così come non esistevano tutti quegli aggiustamenti digitali in post-produzione. Venne girato davvero nell'oceano. Certo, si cercò di agire d'astuzia e non si optò per il bel mezzo dell'oceano Pacifico, questo è chiaro. Ad essere scelta fu l'isola di Martha's Vineyard nello stato del Massachusetts. Una selezione che venne fatta sulla base della logistica: da quelle parti il fondo sabbioso stava a una media di 9 metri di profondità fino a quasi 20 chilometri al largo della costa.

Tanto bastava per l'impiego delle apparecchiature meccaniche che avrebbero dato vita allo squalo e per dare l'illusione di essere dispersi nell'oceano in tutte quelle scene che lo richiedevano. Fu comunque una tragedia. Le riprese fecero più che raddoppiare il budget che passò da 4 a 9 milioni di dollari e i problemi a cui andò incontro la produzione passavano dalle barche della gente che finivano nelle inquadrature (fa ridere pensare che oggi potremmo cancellarle con un tao sullo schermo dello smartphone), macchine da presa bagnate fradice e 55 giorni di riprese che divennero 159. Spielberg pensava che la sua carriera a Hollywood fosse già finita ma era decisamente lontano dalla realtà.
Proprio Soderbergh racconta che, andando a osservare e studiare i report sulla produzione della pellicola, i malfuzionamenti dello squalo hanno davvero portato Spielberg and co a pensare che c'era il rischio concreto di ritrovarsi senza un film. "È una testimonianza della tenacia dello studio, dei produttori e di Spielberg" spiega il filmmaker "il fatto che abbiano continuato a girare e a credere che, essenzialmente, prima o poi avrebbero trovato una soluzione. Ma quando misero per la prima volta lo squalo in acqua e provarono a farlo funzionare, si trovarono davvero davanti alla possibilità concreta di aver commesso un errore".
Lo Squalo e i summer blockbuster
Dicevamo: un decennio importantissimo, gli anni Settanta, per il cinema americano grazie alla rivoluzione portata avanti da alcuni giovanissimi "scapestrati". Anni in cui pellicole come Il padrino e L'esorcista macinavano milioni di dollari ed entravano di diritto nella storia della settima arte, ma con un iter più basato sul costante passaparola che altro. Con Lo squalo andò diversamente perché, contrariamente a quelli citati, la Universal puntò da sull'ampia distribuzione andando ad aumentare sempre di più la posta in gioco. Lo studio aveva compreso di avere fra le mani qualcosa d'inusitato e memorabile. Che non era mai stato fatto prima. Una scommessa che ha ripagato ampiamente. Andando a innescare delle strategie che le major hollywoodiane tentano di attuare ieri come oggi. Solo che, ieri come oggi, per trionfare servono film come Lo squalo.

E lo sapeva bene anche Dino De Laurentiis che, nel 1977, sulla scia di Jaws avrebbe portato nelle sale L'orca assassina. Non è bastato gridare ai quattro venti che un'orca era anche più grande di uno squalo per ripetere un exploit che ha il sapore del mito. Fu un disastro su tutta la linea. Non è un caso che per assistere nuovamente a qualcosa di paragonabile a Lo squalo il pubblico dovette effettivamente attendere l'anno in cui L'orca assassina è arrivato nei cinema... che è lo stesso in cui una storia di samurai dello spazio, di un cattivo con un'armatura nera e delle evidenti difficoltà respiratorie in cui, fra le altre cose, un cane gigante che guidava un'astronave che era più un pezzo di ferraglia, avrebbe fatto la storia. Non citiamo il titolo perché crediamo sia superfluo.