Dopo Gabriele Salvatores con Il ragazzo invisibile, a sdoganare i supereroi all'italiana ci pensa un esordiente. Lo chiamavano Jeeg Robot, pellicola ibrida che ha avuto il merito, al secondo giorno di Festa del Cinema di Roma, di infiammare la stampa, è l'opera prima di Gabriele Mainetti, attore con una discreta esperienza al cinema e in tv che, giunto alla soglia dei 40 anni, ha deciso di fare il grande salto con un prodotto innovativo e sui generis. "Ci ho messo cinque anni a realizzare il film" ci racconta Mainetti.
"Forse non ci vuole sempre così tanto per realizzare un'opera innovativa, ma per me era la prima volta da produttore e ho dovuto imparare sul campo. Mi affascinava molto raccontare la storia di un supereroe, ma non volevo imitare pedissequamente un genere, anche perché, non avendo le stesse possibilità economiche degli americani, sarebbe stato inutile. Così ho preso alcuni elementi caratteristici del genere calandoli in un contesto molto italiano, anzi romano". Parlando della libertà creativa che spigiona dal suo film, il regista prosegue: "Il segreto della libertà creativa è prodursi il film da soli. Rai Cinema mi ha dato la spinta iniziale per sviluppare il progetto e poi abbiamo costruito la produzione in modo molto libero. Ci sono voluti anni e una grandissima dose di incoscienza perché non avevamo neppure un distributore, ma ero guidato dalla folle idea che qualcuno avrebbe amato il film".
Eroe e antieroe
Per il suo esordio sul grande schermo, Gabriele Mainetti si è avvalso della collaborazione dell'ottimo Claudio Santamaria, assolutamente in parte nei panni del pregiudicato Enzo Ceccotti, in arte Hiroshi Shiba, supereroe di borgata che usa gli straordinari poteri acquisiti per sradicare bancomat e depredare furgoni portavalori, e Luca Marinelli, reduce dal successo di Non essere cattivo. Parlando del suo rapporto con i supereroi, Santamaria afferma:
"Fin da piccolo, ho visto film di supereroi, è un genere che mi ha sempre appassionato. In un primo tempo il mio supereroe preferito era Superman, ma poi ho cominciato a detestarlo perché aveva questi enormi poteri e non faceva niente per placare le violenze perché il padre gli aveva proibito di intervenire. Che farei se avessi i superpoteri? Entrerei subito in Parlamento e quello che succede succede".
Ogni eroe che si rispetti necessità di un cattivo all'altezza. L'antieroe di Lo chiamavano Jeeg Robot è Luca Marinelli che interpreta lo Zingaro, criminale iperviolento ed esibizionista. Un cattivo a tutto tondo? Non proprio. "Il mio personaggio piace perché presenta delle fragilità" afferma Luca Marinelli. "Nessuno è cattivo e basta. Ci sono sempre delle motivazioni dietro certi comportamenti e poi il mio cattivo mostra lati inediti del carattere, per esempio ama cantare, ama la musica italiana, adora esibirsi". Gli fa eco Claudio Santamaria: "Abbiamo lavorato tanto per fare in modo che i personaggi fossero veri, per far sì che ci appassionassero. A me Giuseppe mi ha chiesto di ingrassare venti chili. Ho dovuto mangiare in continuazione, non ne potevo più del cibo, ma alla fine questo grande lavoro sui personaggi ci ha aiutato a rendere credibile tutto il resto".
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Comic movie all'italiana
Insieme ai personaggi, l'altra grande protagonista di Lo chiamavano Jeeg Robot è Roma. Non la città delle cartoline e dei monumenti, ma la Capitale fotografata nelle sue periferie più sordide. "Devo ammettere che, in realtà, a me Tor Bella Monaca piace. Quelle torri che si stagliano in mezzo al verde su di me hanno un fascino irresistibile. In un film devi raccontare i personaggi e l'ambiente in cui vivono. Per Enzo abbiamo pensato a un luogo molto degradato, lui stesso è trasandato, sciatto. Quando siamo entrati nello spazio di Alessia l'abbiamo popolato di colori. Lei è come un arcobaleno nella vita del protagonista. L'ambiente dello Zingaro, pieno di ganci e catene, è spinoso, inospitale, vi domina un solo colore, il rosso". A differenza di tanti comic movie edulcorati e fumettistici proprio perché pensati per un pubblico di ragazzi, il film di Mainetti contiene scene di violenza piuttosto dettagliate. Il regista, però, non teme censure e dichiara: "Mi sembrava giusto raccontare una storia usando il genere come strumento e la storia era questa. Se penso a Batman, non è edulcorato, è un eroe che presenta parecchi lati oscuri e nei film compie atti violenti. Alan Moore ha criticato molto i film proprio per questa caratteristica. Io non mi sono preoccupato tanto della violenza, perché trovo che sia molto grafica, ma mi sono concentrato sul dolore dei personaggi. In questo mi sento molto italiano perché ho deciso di mettere in scena il dolore e di farlo in modo realistico".