Living with Yourself, recensione: Paul Rudd si sdoppia per la serie Netflix

Living with Yourself, la recensione: la serie creata da Timothy Greenberg per Netflix punta tutto su Paul Rudd e la sua doppia e simpatica performance.

Se avessimo anche noi a disposizione un clone, oltre che costringerlo a scrivere questa recensione di Living with Yourself - come prima cosa lo relegheremmo a svolgere lavori e faccende di vario tipo al posto nostro. E noi, stesi sul divano, ci metteremmo a recuperare anche solo una piccola parte dei nuovi film e serie che Netflix mette a disposizione ogni settimana. Perché, ve ne sarete accorti anche voi, ormai siamo letteralmente invasi e stare al passo è ormai impossibile per chiunque.

Living with Yourself, però, è uno di quei titoli che merita una particolare attenzione perché, sebbene non si porti appresso le aspettative di un The Irishman o di una nuova stagione di Black Mirror o Stranger Things, può contare sulla presenza (doppia) di un attore amatissimo come Paul Rudd. E se il creatore e sceneggiatore della serie Timothy Greenberg è un vero e proprio esordiente, anche se di grande esperienza (e due Emmy) in TV con il The Daily Show with Jon Stewart, alla regia troviamo la coppia Jonathan Dayton e Valerie Faris, gli stessi dell'acclamato Little Miss Sunshine e dei successivi Ruby Sparks e La battaglia dei sessi.

Una trama da comedy che si trasforma in dramma

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Living With Yourself: Paul Rudd in un'immagine della prima stagione

Tutto insomma farebbe pensare ad una vera e propria commedia, a partire dalla storia. Miles Elliot è un pubblicitario che sta vivendo un periodo di grande crisi, tanto al lavoro che con la moglie: in ufficio non riesce più a trovare l'ispirazione di una volta, a casa la passione di una volta sembra non esserci più e le difficoltà nell'avere un bambino sembra aver minato definitivamente il matrimonio con la bella Kate. Un bel giorno un collega particolarmente in forma e sulla cresta dell'onda gli dà un consiglio: bastano 50000 dollari e qualche ora in questo prodigioso e misterioso "Centro benessere", per sentirsi rinati, più forti e in gamba che mai.

In realtà, come noi già sapevamo dal materiale promozionale della serie e come invece Miles scopre solo successivamente a due spese, non si tratta affatto di un centro benessere, ma di un'azienda che (illegalmente) effettua clonazione di persone a pagamento migliorando il loro DNA in ogni aspetto. La contemporanea (e imprevista) presenza di ben due Miles, uno normale e l'altro versione 2.0, è il vero cuore dello show, perchè come fare a gestire un'unica vita con due persone che, giustamente, provano gli stessi sentimenti o hanno gli stessi ricordi? Anche il Miles originale, proprio come vorremmo fare noi, prova a mandare il nuovo Miles al lavoro al posto suo per potersi così dedicare con tranquillità ai suoi hobby; ma ben presto si rendderà conto che, così facendo, finirà col perdere il controllo della sua vita e a provare gelosia verso l'altro se stesso.

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Living With Yourself: una foto del protagonista Paul Rudd

Raccontata così questa serie è evidentemente una comedy e, in effetti, la premessa è simpatica e alcune trovate divertenti quanto basta. Ma più gli episodi, otto da mezz'ora ciascuno, vanno avanti e più nella storia e nel tono dello show emerge una malinconia di fondo che fa immediatamente diventare questa Living with Yourself qualcosa di molto diverso. E, per certi versi almeno, ben più interessante. Perchè se è vero che le risate nell'ultima parte scarseggiano e, anzi, alcuni momenti forzatamente divertenti e quasi slapstick non sono esattamente il massimo, è nel suo riuscire a trasmettere tutto il disagio esistenziale dei due protagonisti che la serie di Greenberg guadagna punti.

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Paul Rudd è bravissimo a caratterizzare molto bene entrambi i personaggi a sua disposizione e nel riuscire a far capire sempre (tranne quando vuole "ingannarlo") quale dei due Miles sta interpretando in quel momento. Quasi tutto lo show, infatti, è diviso a metà e quasi ogni episodio racconta la storia vista da due prospettive diverse. La stessa giornata, lo stesso avvenimento, può essere molto diversa se vista dal Miles vecchio o da quello nuovo: questa sorta di "clone" di Rashomon è tale da incuriosire e incoraggiare il binge-watching tanto amato da Netflix, soprattutto grazie a dei mini colpi di scena sufficientemente funzionali.

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Living With Yourself: un'immagine della prima stagione della serie

Per quanto possiamo dire di amare Paul Rudd fin da tempi non sospetti e certamente molto prima che debuttasse nel Marvel Cinematic Universe (ve lo ricordate in Friends come marito di Phoebe?), dobbiamo ammettere che, nonostante la sua convincente performance, i suoi due Miles non è che siano proprio i personaggi più amabili del mondo. Si sorride con loro, certo, si riesce a provare empatia per la loro bizzarra situazione, ma è soltanto quando il personaggio della moglie, Kate, comincia ad avere più spazio che la serie decolla davvero.

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Il quinto episodio della serie, tra l'altro dal titolo italianissimo Va Bene anche in originale, è tutto dalla sua prospettiva ed è certamente il più riuscito di tutta la stagione, grazie anche all'ottimo lavoro dell'attrice irlandese Aisling Bea. Ed è particolarmente significativo che la serie acquisti maggiore spessore proprio nel momento in cui mette al centro non il tema del doppio o della clonazione, ma l'impatto che tutto questo potrebbe avere sugli altri. È questo l'elemento più interessante ma anche più originale di Living with Yourself, una serie che in partenza potrebbe sembrare semplicemente l'ennesima declinazione di un tema abusatissimo (mai come quest'anno poi, pensiamo a Noi o Gemini man per esempio), ma finisce invece con il rappresentare un'interessante e piacevolissima riflessione sulla famiglia e sull'amore.

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Conclusioni

Abbiamo iniziato questa recensione di Living with Yourself desiderando un clone tutto per noi: adesso ve lo possiamo confessare, dopo aver visto tutti e otto gli episodi della serie Netflix non siamo più così convinti. La forza dello show è proprio nel suo essere una riflessione agrodolce su un tema di certo non originalissimo di per sé, ma comunque in grado di far riflettere ed emozionare grazie alle ottime performance di Paul Rudd e di Aisling Bea. Non un capolavoro ma sicuramente l'ennesima serie Netflix degna di essere vista.

Movieplayer.it
3.5/5
Voto medio
3.5/5

Perché ci piace

  • L'idea di base, pur non originalissima, è declinata in modo intelligente e affronta temi interessanti da una prospettiva inedita.
  • Le due ottime performance di Paul Rudd sostengono la serie in tutta la sua durata e la rendono piacevole da guardare, ma il cuore dello show è nel personaggio della bella e brava Aisling Bea.
  • La durata da 30 minuti degli 8 episodi è l'ideale per una serie del genere.

Cosa non va

  • Chi si aspetta una commedia pura e tante risate potrebbe rimanere deluso.