Little Joe, la recensione: un thriller che germoglia e poi appassisce

La recensione di Little Joe: in concorso a Cannes 2019, il film di Jessica Hausner è un esperimento di orrore psicologico con uno sguardo inquietante sui fiori e la maternità.

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Little Joe: una scena del film

"Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior". Così cantava Fabrizio De Andrè. Apriamo questa recensione di Little Joe citando la meravigliosa canzone Via del Campo perché la regista Jessica Hausner non è affatto d'accordo con la celebre strofa. Per lei i fiori nascono in un luogo asettico, pulito, candido. Per lei i fiori sono preziosi come diamanti da custodire sottochiave. E sono loro a condurre nel letame. Da sempre simboli contraddittori, sospesi tra bellezza e inganno, fascino estetico e presagio di lutto, il fiore è un emblema affascinante. La sua natura duplice è innegabile: da una parte portatori sani di serenità, gioia e buon profumo, dall'altra pericolosi portatori di allergie e veleni.

Consapevole di questa atavica ambiguità, Little Joe abbraccia i fiori per costruire attorno a loro un suggestivo e coraggioso thriller psicologico. Ipnotico e a tratti inquietante, il film di Hausner centellina la tensione con il contagocce, la inserisce qua e là in maniera chirurgica, mentre mette in scena il suo racconto altamente allegorico. Purtroppo Little Joe, tra i film in concorso al Festival di Cannes 2019, raccoglie meno di quel che semina, perché nonostante le disturbanti premesse di un insolito thriller psicologico (a tinte horror) si dimostra più innocuo e meno violento di quanto facesse presagire. Nonostante rimanga la sensazione dell'occasione in parte sprecata, a Jessica Hausner va dato il merito di aver osato grazie a un'opera ambiziosa in cui uomini e vegetali vengono messi allo specchio. Guardaci dentro non sarà piacevole.

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Little Joe: una sequenza del film

Una trama essenziale tra petali di orrore

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Little Joe: Emily Beecham in una scena del film

Altro che letame, dunque. Niente terreno, sporcizia e natura selvaggia alla base dei fiori di Little Joe. Accade tutto nei glaciali laboratori della Planthouse, corporation piena di gente cinica, dove Alice, una brillante fitogenetista. crea un fiore unico al mondo. Si tratta di una specie di crisantemo di colore scarlatto che, con le giuste cure e attenzioni (quasi fossero coccole per un bambino), è capace di emanare effluvi in grado di rendere felici le persone. Gli effetti benefici del fiore Little Joe sono sorprendenti e ovviamente attirano interessi economici tali da renderlo estremamente prezioso. Però, dietro i petali della felicità, si nasconde un dubbio inquietante: e se la felicità ci snaturasse? E se la felicità fosse una specie di anestesia che ci allontana dagli altri per rinchiuderci dentro un mondo tutto nostro? Spunto intrigante e timore che si insinua nella mente di Alice. La donna, infatti, ha dato alla pianta il nome di suo figlio, e quando decide di portare a casa un esemplare del fiore rosso, il suo bambino inizia a dare segnali di strambo cambiamento. Little Joe si affida così al punto di vista della sua mamma single, costretta a dividersi tra due ambienti a loro modo inquietanti. Due ambienti che sembrano quasi dividere il film in due sottogeneri.

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Little Joe: una scena del film diretto da Jessica Hausner

Negli spazi angusti della Planthouse, luogo avaro di calore umano, Alice (interpretata da un'ottima Emily Beecham a metà strada tra lo sguardo di Amy Adams e l'algidità di Nicole Kidman) si aggira dentro un horror claustrofobico, dove le piante prendono vita, minacciano attraverso qualcosa di invisibile e non filmabile come gli odori. Il tutto accompagnato da colleghi con atteggiamenti quasi bionici, più automi degli automi, forse anche loro infettati dal piccolo fiore. Peccato che, nonostante una stridente colonna sonora dove suoni tribali incontrano cani che abbaiano, Little Joe non affondi il colpo, non inquieti mai davvero, rimanendo in superficie anche per colpa di dialoghi estremamente pilotati e artefatti. Il meglio, per fortuna, arriva altrove, ovvero nel dramma di una madre che di fantascientifico non ha un bel nulla.

La paura del cambiamento

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Little Joe: una scena con Emily Beecham

Teatrale nel suo affidarsi soltanto agli interni (laboratori, serre, abitazioni), Little Joe ha nel suo titolo la sua doppia chiave di lettura. Perché quel nome è condiviso da un fiore e da un bambino. E cosa fa una madre se non vedere nella sua prole la sua pianta da coltivare con amorevole cura? Quando Jessica Hausner preferisce dedicarsi al dramma familiare di una mamma posta dinanzi alla pubertà di suo figlio, il film la ringrazia. Perché diventa più efficace, davvero più disturbante e vero. Il felice parallelismo tra le radici di una madre e i rami di un figlio racconta quanto l'amore possa essere asfissiante, quanto l'istinto di protezione sfoci facilmente nell'egoismo e nella mania del controllo. Il vero orrore di Little Joe, opera tanto zoppicante quanto ardita, non è soltanto nelle spore dei fiori che rendono spietate o dementi le persone, ma la quotidiana paura di veder cambiare le persone che amiamo. Non c'è incubo peggiore. Per tutti. Figuriamoci per una madre.

Conclusioni

Ottima semina, scadente raccolto. Potremmo riassumere così la recensione di Little Joe. Un thriller psicologico disturbante e coraggioso, che però si ferma a metà strada tra la fantascienza da camera e l’horror domestico. Il film Jessica Hausner vuole essere troppe cose contemporaneamente. Però, al di là della suggestiva messa in scena di fiori inquietanti, rimane una bella allegoria dedicata al rapporto madre-figlio.

Movieplayer.it
2.5/5
Voto medio
2.5/5

Perché ci piace

  • La fotografia a tratti ipnotica.
  • L’ottima prova d’attrice di Emily Beecham.
  • L’idea di fondo è originale e innovativa…

Cosa non va

  • …ma il risultato non è pienamente riuscito.
  • Alcuni dialoghi sono troppo artefatti.
  • Il mix di generi non funziona come la regista avrebbe voluto.