La camorra, il piccolo casolare di un centro ricreativo nel cuore di Napoli, il brulicare delle vite attorno e dentro, una madre e una figlia, un boss, una donna testarda nel voler a tutti i costi strappare alla malavita quante più giovani vite possibili. Dopo la decisione di scegliere A Ciambra di Jonas Carpignano come candidato italiano per i prossimi Oscar nella corsa al miglior film in lingua straniera, ecco un altro titolo, L'intrusa di Leonardo di Costanzo, capace di confermare una tendenza ormai diffusa di nostri autori più validi: il cinema italiano riscopre la forza del realismo e inventa nuovi linguaggi per esplorare un territorio appartenuto ai grandi maestri del passato.
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Come nel caso del film di Carpignano anche questa è una sorpresa che arriva da Cannes, da quella Quinzaine des Réalisateurs che li ha visti correre insieme all'altro titolo rivelazione di questa new wave italiana, Cuori puri.
A occupare lo spazio è l'occhio sul diverso, l'attenzione alla marginalità, la fotografia di una realtà che ci corre a fianco; sono film che recuperano una riflessione onesta e coraggiosa su tematiche del nostro tempo, senza fornire soluzioni assolutorie o colpevoliste. Sono film che riportano il cinema al ruolo di grande narratore restituendogli una funzione epifanica, quando a imporsi sullo schermo è un racconto schietto e 'feroce' a cui non ci si può sottrarre, che piaccia o meno allo spettatore.
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Cinema verità
Il cinema di Leonardo Di Costanzo ti chiama in causa, ti obbliga a farti domande e non nasconde le sue origini, perché Di Costanzo è un fine documentarista e qui ancora una volta sperimenta l'indagine appassionata di una materia che conosce molto bene, il reale, e che ha sempre saputo lavorare con la passione dell'artigiano. Ne L'intrusa, come già era successo nel suo debutto a un lungometraggio di finzione, L'intervallo, la realtà è l'ancora alla quale saldare l'intero racconto frutto di un lunghissimo lavoro di scrittura e prove con gli attori, alcuni dei quali non professionisti o alla loro prima volta in scena come nel caso di Raffaella Giordano, danzatrice e performer che interpreta Giovanna, una donna del Nord trasferitasi a Napoli per gestire un centro ricreativo per bambini, "La Masseria", un'isola felice che possa offrire ai giovanissimi un'alternativa alle logiche mafiose della strada.
Proprio qui, in una casupola diroccata, Giovanna accoglierà Maria e i suoi due bambini, ma quello che non sa e che scoprirà solo in un secondo momento, è che Maria è la moglie di un boss della camorra accusato di omicidio. Quella donna è il simbolo di un mondo contro cui lottano le madri dei bambini che ogni giorno si ritrovano alla Masseria e Giovanna ben presto si troverà a dover dare una risposta: accogliere l'intrusa o allontanarla?
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Un racconto di eroi moderni
L'intrusa si regge sul conflitto che esplode nella testa della protagonista e che si manifesta nella stessa distribuzione dei luoghi: la casupola dove quella "bestia ferita, testarda" con dentro l'inferno ha cercato rifugio e lo spazio tutto intorno della ciclofficina, del giardino, dei disegni sui muri del casale.
Da un lato l'estraneo, il diverso e dall'altro il gruppo coeso, compatto, strenuo difensore della propria comunità; la camorra c'è ma non si vede, la raccontano le vite dei personaggi che entrano ed escono dalla masseria, il rumore degli elicotteri in lontananza, i palazzoni oltre le siepi del centro.
L'intera impalcatura della storia si alimenta della lotta tra bene e male, sul dilemma tra paura e accoglienza, e si nutre degli elementi tipici della tragedia dove gli eroi sono gli uomini e le donne come Giovanna, che ogni giorno sperimentano nuovi modelli di convivenza, occupandosi dei margini, degli oppressi e dei sommersi con la testardaggine e la tenacia che manca alle istituzioni. Sono gli uomini e le donne che per le convinzioni più disparate fanno gruppo, si autofinanziano e lottano, animati spesso soltanto dal proprio profondo senso civico e umano, per sanare, bonificare e recuperare terreno su ogni tipo di stortura sociale.
L'intrusa non è un documentario, ma è racconto, finzione pura che dal terreno documentaristico mutua stile e linguaggio; la sua grandezza consiste nel saper far muovere all'interno di questo spazio quasi sacro una collettività di personaggi credibili e umani, senza piegarli a esigenze sceniche che violerebbero la loro verità.
La masseria diventa terra di frontiera contesa dall' intrusa (lo sguardo dolente e inorgoglito di Valentina Vannino qui al suo debutto al cinema), dai bambini che lì vorranno tornare per finire di costruire con pezzi di vecchie bicilette il loro Mr. Jones, "l'uomo con la capa dritta", dalle loro madri e dagli operatori del centro. Ma forse la masseria è semplicemente terra di tutti. O forse no.
Movieplayer.it
3.5/5