È stata una delle sorprese della 73° edizione della Mostra di Venezia: opera seconda di Federica Di Giacomo, documentarista che aveva esordito nel 2009 raccontando la "guerra civile" per le case popolari in Puglia in Housing, Liberami si è rivelato uno degli "UFO" nel programma della Mostra del Cinema. Una pellicola difficilmente catalogabile che, all'interno dell'ampio ventaglio di documentari presentati al Festival del 2016, ha saputo distinguersi al punto da conquistare il premio come miglior film per la sezione Orizzonti.
Il titolo dell'opera fa diretto (e ironico?) riferimento al tema trattato dalla Di Giacomo, l'esorcismo: un fenomeno più noto al grande pubblico come elemento cardine di tanto immaginario del cinema horror dell'ultimo mezzo secolo, da William Friedkin in poi, che non come pratica concreta e addirittura quotidiana. Una pratica, tuttavia, talmente delicata, complessa e controversa da essere "presa con le pinze" perfino dai vertici della Chiesa, ma vissuta in maniera del tutto diversa in determinate realtà sociali.
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Padre Cataldo Superstar
Protagonista di Liberami è appunto una figura di esorcista contemporaneo, padre Cataldo, sacerdote palermitano le cui 'prestazioni' in qualità di esorcista (o presunto tale) lo hanno reso una sorta di divo locale nella provincia siciliana: piccole folle si assiepano nelle sale della sua parrocchia, chiedendo di essere ricevute, anche se solo per qualche minuto, mentre la sua "messa di liberazione", celebrata ogni martedì, è un evento in cui la liturgia religiosa non tarda a sconfinare in uno spettacolo che, mutatis mutandis, riporta alla memoria certi predicatori istrionici e sopra le righe del cinema americano, dal Burt Lancaster de Il figlio di Giuda al Paul Dano de Il petroliere. Con la differenza, non di poco conto, che in quei casi si parlava di drammi di finzione, ambientati fra l'altro in un passato abbastanza distante, mentre Liberami descrive situazioni e comportamenti appartenenti alla nostra contemporaneità, per quanto ciò sia difficile da credere.
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Di fronte a scenari tanto incredibili quanto, in alcuni casi, 'normali' e abituali, l'autrice sceglie di fare un "passo indietro": lo sguardo della macchina da presa rimane sempre e comunque silenzioso, discreto, invisibile, a voler garantire il massimo grado possibile di oggettività. La regia si limita a registrare una routine consolidata, a cogliere attimi più o meno bizzarri, lasciando che sia il singolo spettatore ad elaborare, prima ancora di un giudizio, il proprio grado di (in)credulità di fronte ad una religiosità declinata in chiave di superstizione e di folklore. Eppure, non è solo questo il tema di Liberami: se l'analisi di un certo modo di vivere ed intendere il Cristianesimo costituisce senz'altro una parte importante del documentario della Di Giacomo, a osservare con più attenzione ci si renderà conto che il film non si limita a questo, ma prova ad estendere la propria (implicita) riflessione a varie forme di malessere. Quel malessere che un numero spaventosamente alto di persone scelgono di definire come possessione demoniaca.
Il lato grottesco del Maligno
È in questa ottica che Liberami assume le sue sfumature più inquietanti: in un affresco socio-culturale in cui non solo il sostrato di superstizione ha preso il sopravvento su qualunque ipotesi di razionalismo o di indagine scientifica, medica e/o psicologica, ma in cui 'spettri' che si credevano ormai quasi estinti nell'Italia odierna - certe tipologie di bigottismo, la condanna di qualunque deviazione dalla norma, un pregiudizio sessuofobico verso l'intero genere femminile - si dimostrano al contrario vivi e vegeti. Spettri che, più ancora dei fantomatici demoni di cui la Sicilia parrebbe invasa, ci permettono di cogliere gli aspetti più assurdi e contraddittori di queste realtà, in cui le molteplici forme di un disagio o di una qualche ossessione senza risposta vengono indiscriminatamente attribuite a Satana: che si tratti di tossicodipendenza o dei banali problemi scolastici di un adolescente.
Proprio da tale paradosso scaturiscono i momenti più memorabili e, in molti casi, genuinamente esilaranti di Liberami, dalla pantomima di un presunto posseduto preoccupato di rendere comprensibili gli improperi pronunciati dal diavolo (altro spunto di notevole interesse: dove comincia e dove finisce la consapevolezza di questa 'immedesimazione'?) alla beghina spedita a snocciolare il rosario in un'altra stanza per non disturbare un esorcista spazientito, fino ad arrivare ad un'autentica sequenza cult: l'esorcismo compiuto da padre Cataldo per telefono, con il repentino passaggio dalle formule di rito scagliate contro il demonio di turno - con l'apporto della Telecom - a un più colloquiale e rassicurante "Come va a casa? Mi saluti suo marito". Scene, però, in cui la comicità grottesca sembra voler celare e, pardon, esorcizzare un 'male' perfino più oscuro di qualunque spirito maligno da film horror.
Movieplayer.it
3.0/5