Dopo il passaggio alla Berlinale e l'uscita in prima visione sulla piattaforma #IorestoinSALA a gennaio, Lezioni di persiano di Vadim Perelman, distribuito in Italia da Academy Two, torna in sala in vista della riapertura dei cinema. Il film, interpretato dal tedesco Lars Eidinger e dall'argentino Nahuel Pérez Biscayart, torna ad affrontare il tema dell'Olocausto degli ebrei in una pellicola che mescola dramma e humor raccontando la storia di un detenuto che riuscì a scampare ai nazisti inventandosi un linguaggio inesistente da insegnare a un ufficiale.
Vadim Perelman, ebreo ucraino naturalizzato canadese non ha scelto questa storia, ma ne è stato scelto. Quando gli è arrivato il copione, ha deciso di buttarsi a capofitto in una appassionata ricostruzione storico che contiene, però, notevoli componenti d'invenzione necessarie a colmare i vuoti storici: "Lo sceneggiatore Ilja Zofin, anche lui russo di origini ebraiche, lesse qualcosa in un giornale sovietico quando viveva ancora in Unione Sovietica. Ricordava la storia di un prigioniero che aveva inventato una lingua fittizia per sopravvivere nel campo di concentramento. Da lì poi ha costruito una storia nuova ispirandosi a un racconto di Wolfgang Kohlhaas del 1952".
Il potere del linguaggio e la ricostruzione di sé
Lezioni di persiano, ambientato nel 1942, racconta la storia del belga Gilles, arrestato dalle SS insieme ad altri ebrei e trasportato in un campo di transito in Germania. L'abile Gilles riesce a salvarsi dalla fucilazione giurando alle guardie di non essere ebreo, ma persiano. Questa bugia lo salva temporaneamente, ma lo mette in una situazione ben più pericolosa, insegnare la lingua farsi a Koch, l'ufficiale responsabile delle cucine del campo che sogna di aprire un ristorante in Iran alla fine della guerra.
"So bene cosa significhi essere un immigrato" ci spiega Vadim Perelman. "Da Kiev la mia famiglia si è spostata a Vienna, poi a Roma e infine in Canada. Quando sono arrivato in Canada conoscevo dieci parole d'inglese. Il linguaggio, elemento chiave del film, per me rappresenta la realizzazione, l'invenzione di un nuovo me stesso". In linea col pensiero del regista, Lezioni di persiano è un film che intreccia vari linguaggi passando dal tedesco al francese, dal farsi all'italiano, caratteristica questa che gli è costata addirittura la candidatura a miglior film straniero visto che l'Ucraina in prima battuta lo aveva scelto per la corsa agli Oscar, ma le regole dell'Amademy lo hanno penalizzato. L'impegno più gravoso, sul set, è stato però il dover inventare da zero una lingua fittizia che il personaggio di Nahuel Pérez Biscayart insegna all'ufficiale nazista per rimanere in vita. Per ottenere questo risultato, il regista ha avuto a disposizione sul set un filologo dell'Università di Mosca che lo ha aiutato durante tutto il tempo delle riprese.
Lezioni di persiano, la recensione: l'Olocausto e la fantasia che ti salva la vita
Il valore didattico del cinema
Raccontare l'Olocausto, per Vadim Perelman, è un modo per onorare la memoria della sua gente, per ricordare le vittime attraverso un'opera che è anche un film di intrattenimento. "Non ho niente contro l'intrattenimento" ammette il regista durante il nostro incontro berlinese. "Le scene più divertenti faranno discutere alcuni, ma per me è il cinema non è solo fare soldi, è anche raccontare qualcosa e volevo mostrare le violenze di cui gli ebrei sono stati vittima. Purtroppo un film non può cambiare il mondo, ma ridere del dramma si può, almeno in Lezioni di persiano, perché alla fine c'è una catarsi. Capisco le preoccupazioni del politicamente corretto, ma se il messaggio che si veicola è giusto ogni modo è lecito".
Guardando al futuro, Vadim Perelman è piuttosto pessimista. Il regista è convinto che i drammi mostrati nel film si verificheranno di nuovo: "La storia si ripete. In Germania è stato fatto un enorme lavoro di analisi e pacificazione, ma basta mettere piede negli Stati Uniti per trovare naziskin con il corpo tatuato di svastiche. La situazione peggiora col peggiorare delle condizioni economiche e così si cerca un capro espiatorio; prima erano gli ebrei giudei adesso potrebbe essere chiunque altro. La propaganda fa il resto. L'unico modo per combattere questa deriva è educare i giovani". Anche il cinema ha un potere educativo, come ammette il regista consapevole che documentari e ricostruzioni accurate, però, alla lunga possano risultare noiose: "Ritengo che si possano infondere humor e tensione nella storia fintanto che non la si tradisce". Tra i modelli "didattici" che la storia del cinema offre citiamo Schindler's List che però, per Perlman, "è decisamente troppo mainstream. Ma ho amato molto Il figlio di Saul di László Nemes anche se è un film chiuso, cupo, angosciante, totalmente diverso dal mio".