Le parole che non si capiscono (più)
Il cinema di James Toback mette in scena la polifonia dei linguaggi, dei corpi, delle culture e, di conseguenza, dei comportamenti a cui siamo - nostro malgrado? - costretti, nonostante l'urgenza della contemporaneità ci stimoli ad una giustezza che il più delle volte non ci appartiene. Insomma, vogliamo fare i bravi, i più coerenti e i più moralmente accettabili possibile, ma finiamo sempre per esercitare su noi stessi e sugli altri una violenza psicofisica inevitabile. Razzismo, potere, prevaricazione da dietro l'angolo balzano sovente addosso. Jacques Audiard l'ha ben capito, e nonostante il suo remake del tobackiano Rapsodia per un killer differisca in molti punti dall'originale (in primis, nel contesto socio-epocale e culturale: là l'America della seconda metà degli anni Settanta, qui la Parigi di oggi), le sottrazioni e le aggiunte non hanno mai intenzioni distruttive, ma elaborano la fonte originale con spirito costruttivo.
Finalmente un rifacimento con idee di reinventare un discorso, però non per scardinarlo e soppiantarlo cinicamente, bensì per rinforzarlo e addirittura per aumentarne il valore, se possibile. Tutti i battiti del mio cuore racconta certo le stesse cose di Rapsodia per un killer: la follia di un uomo che nel caos quotidiano (ma soprattutto interiore) si squilibra fino a estreme conseguenze, non riuscendo più a trovare se stesso, se mai in fin dei conti si è trovato. Ma quello di Audiard non è lo stile semi-improvvisato di Toback, come avevamo già avuto modo di capire dal bel Sulle mie labbra. La sua macchina da presa sfoca gli eventi e le facce, e conserva un'inquietudine palpabile e claustrofobica. Thomas non capisce il mondo, ma non capisce più neanche i suoi desideri, le sue aspirazioni, le sue tensioni. E di fronte a parole letteralmente incomprensibili (quelle della ragazza cinese che ascolta e critica le sue prove al pianoforte, quelle del boss criminale russo), Thomas perde la bussola.
È proprio la parola, intesa come mezzo di comunicazione e di comprensione, che risulta muro invalicabile, in un mondo che non vede più coordinate. Oltre la razza, oltre il colore della pelle, tra uomo e uomo non passa più nemmeno la comprensione dialettica, anche nella stessa città, anche nello stesso sobborgo, anche nella stessa stanza. L'angoscia di Tutti i battiti del mio cuore è più strisciante rispetto a Rapsodia per un killer, dove il Jimmy di Harvey Keitel se ne andava in locali pubblici con il suo mangiacassette a spalla perennemente accesso, e a volume sparato; però non si fanno sconti a nessuno, e la chiusura, apparentemente più conciliata, non promette alcun orizzonte più solare: il fallimento era tanto di Jimmy quanto di Thomas (Romain Duris), avvolti in un sangue che pensano soltanto altrui, e che invece li investe come neanche quello a torrente fuori dall'ascensore di Shining.