Io non capisco il senso di quello che dice: come si può amare una parola? Non si può amare delle parole; non si può mica innamorarsi di una parola. Si può amare un altro essere umano... questa è perfezione.
La logica dell'amore, forse l'unica logica che conosca, è quella rivendicata da Bess McNeill al cospetto degli uomini riuniti nella chiesa presbiteriana della sua comunità. Sebbene il modus vivendi di Bess, la protagonista de Le onde del destino, si richiami al motto evangelico "Ama il prossimo tuo", l'approccio degli altri abitanti del villaggio al Cristianesimo è imperniato invece su un rigido dogmatismo, "l'amore incondizionato per la legge". Cosa accade però se la "legge", o la presunta tale, risulta inconciliabile con un atto d'amore? La breve diatriba all'interno della chiesa, un momento emblematico del film di Lars von Trier, esprime dunque il dissidio alla radice di uno dei titoli più famosi e celebrati del regista danese, quello che ne avrebbe sancito la consacrazione internazionale.
Il cinema di Lars von Trier dalla trilogia sull'Europa al "cuore d'oro"

Quando Le onde del destino approda al Festival di Cannes 1996, Lars von Trier ha appena compiuto quarant'anni e può già vantare oltre un decennio di attività nel mondo del cinema. Proprio il concorso di Cannes aveva 'battezzato' nel 1984 la sua pellicola d'esordio, L'elemento del crimine, primo tassello di una "trilogia sull'Europa" portata a compimento nel 1991; in seguito von Trier aveva fondato una propria compagnia di produzione, la Zentropa Entertainment, e nel 1994 aveva realizzato The Kingdom - Il Regno, miniserie televisiva di ambientazione ospedaliera le cui suggestioni horror venivano declinate secondo il gusto del regista per il grottesco e l'assurdo. Il 1995 è invece l'anno di Dogma 95, il manifesto cinematografico basato su un rigoroso codice di iperrealismo: un codice a cui, almeno in parte, aderirà anche Le onde del destino.

Apripista della cosiddetta "trilogia del cuore d'oro", il film trae ispirazione da un libro per l'infanzia (Il cuore d'oro) in cui una bambina si spoglia di ogni suo avere per aiutare gli altri, restando senza nulla. "Volevo fare un film sulla bontà", dichiarerà Lars von Trier; "Probabilmente la storia de Le onde del destino viene da lì. Goldheart è Bess nel film". Cresciuta in un villaggio nelle Highlands scozzesi, Bess McNeill è la ragazza dal cuore d'oro che, all'inizio del racconto, convola a nozze con l'operaio Jan Nyman: un matrimonio guardato con sospetto dai membri della piccola comunità, ma a cui Bess va incontro con un entusiasmo incontenibile, animata da una passione totalizzante per il neo-sposo. Jan è interpretato dallo svedese Stellan Skarsgård, destinato a diventare un volto-simbolo del cinema di von Trier, mentre il ruolo di Bess segna il debutto sullo schermo della ventinovenne inglese Emily Watson.
Non solo una martire: la Bess McNeill di una straordinaria Emily Watson

La Watson, che fino ad allora aveva recitato solo a teatro, grazie a un provino folgorante viene ingaggiata dal regista per rimpiazzare Helena Bonham Carter: von Trier, infatti, avrebbe voluto una star già affermata come garanzia delle sorti commerciali del progetto, ma la Bonham Carter, attrice di punta delle produzioni Ivory Merchant, si tira indietro all'ultimo momento. Alla sua prova d'esordio, Emily Watson si tuffa nella parte di Bess con un candore infantile percorso da accensioni vitalistiche, in un amalgama fra ingenuità, purezza e una profonda determinazione. Se sulla carta Bess sembra aderire all'archetipo della martire, elemento comune ad altre protagoniste della filmografia di von Trier, la Watson riesce però a farne un personaggio radioso, pur a dispetto della tragedia che la colpisce quando Jan, impegnato su una piattaforma petrolifera, subisce un incidente che lo lascia paralizzato e ne compromette le attività sessuali.

La materia narrativa fa dunque riferimento sia al melodramma, sia a certi modelli del romanzo ottocentesco, inclusa la scelta marcatamente letteraria di suddividere la storia in sette capitoli e un epilogo, introdotti da classici rock degli anni Settanta (Rod Stewart, Jethro Tull, Procol Harum, Leonard Cohen, Elton John, Deep Purple, David Bowie). In compenso lo stile semi-documentarista di Lars von Trier, con l'uso della macchina a mano, le immagini sgranate, un montaggio 'sghembo' e talvolta irregolare, va in direzione diametralmente opposta, secondo una formula peculiare che, almeno per Idioti e Dancer in the Dark, rimarrà un tratto distintivo del regista. Il connubio fra il "voto di castità" di Dogma 95 e la natura struggente della parabola di Bess è all'origine della fortuna de Le onde del destino, che dopo aver vinto il Gran Premio della Giuria a Cannes riscuote un successo sorprendente e fa incetta di riconoscimenti fra Europa e America, inclusa la nomination all'Oscar come miglior attrice per Emily Watson.
Vittime o eroine? Le "donne contro" di Lars von Trier

Se le vicende sono contraddistinte da un progressivo accanimento nei confronti del suo personaggio, l'intensità della performance della Watson riesce a far sì che la figura di Bess non resti ingabbiata esclusivamente nella commiserazione degli spettatori (impresa che, in seguito, sarà replicata anche dalla Björk di Dancer in the Dark). Bess è senz'altro una vittima degli eventi, il bersaglio fin troppo scoperto del perbenismo ipocrita della sua comunità: un perbenismo che, partendo dalla morale religiosa dominante, penetra addirittura nel nucleo familiare. "Non hai la minima idea di cosa sia essere scacciata", è il severo monito pronunciato da una madre pronta a disconoscerla; "Non avrai più niente, Bess. Ho visto uomini e donne forti deperire dopo essere stati scacciati, e tu non sei forte: tu sei una ragazza debole".

Eppure c'è una forza d'animo in Bess, una cristallina fiducia nelle ragioni del proprio cuore, che emerge da ogni gesto della ragazza e riempie di luce lo sguardo di Emily Watson. Da Dancer in the Dark a Dogville, fino ad arrivare al dittico di Nymphomaniac, il cinema di Lars von Trier sarà popolato da personaggi femminili in rotta di collisione con il microcosmo di cui fanno parte e con i dettami di una società prevaricatrice, che pretende di limitarne il diritto all'autodeterminazione, a partire dal controllo sul loro corpo (e di conseguenza sulla sessualità, negata o resa oggetto di condanna). La Bess de Le onde del destino è la capofila di questa categoria di donne che, loro malgrado, assumono la statura di tormentate eroine; e a lei, vittima di "bontà" secondo le parole di un compassionevole medico, von Trier rende omaggio nella scena conclusiva, con l'irruzione del divino - il miracolo delle campane - a obliterare la meschinità e l'orrore della dimensione terrena.