Il grande carro, la recensione: affari di famiglia

La recensione de Il grande carro, l'ultimo film diretto da Philippe Garrel in cui per la prima volta recitano insieme tutti i suoi figli.

Il grande carro, la recensione: affari di famiglia

Per la prima volta vediamo insieme sullo schermo i tre fratelli Louis, Esther e Léna, figli dell'autore Philippe Garrel nonché regista de Il grande carro, film presentato in concorso all'edizione 2023 del Festival di Berlino di cui vi parliamo in questa nostra recensione. Si tratta di una pellicola toccante e sincera, costantemente in equilibrio tra finzione e autobiografismo. Il regista francese porta in scena la sua intera famiglia proprio per raccontare le vicissitudini di un nucleo familiare alle prese con la gestione di un'antica ma appassionata arte: quella dei burattini. Il grande carro (The Plough il titolo internazionale) parla di magia, spettacolo ed emozioni pur non citando mai esplicitamente il cinema.

Nel nome del padre

Louis, Esther e Léna sono fratelli e sorelle. Tre discendenti di una famiglia di burattinai guidata con entusiasmo e passione dal loro papà. L'amore che nutrono nei confronti di quest'arte e la passione che riversano in ogni singolo spettacolo devono però fare i conti con un business ormai sempre più problematico e poco florido, costretto a cedere il passo all'intrattenimento contemporaneo per rifugiarsi in allestimenti al servizio di platee davvero esigue. Nonostante le difficoltà però, la famiglia si ostina in maniera compatta a portare avanti la propria professione cercando il plauso del pubblico e trovando gratitudine negli occhi gioiosi e divertiti di bambine e bambini. Tutto rischia di cambiare il giorno in cui il papà dei ragazzi verrà a mancare. Come reagiranno i tre figli? Saranno in grado (e avranno ancora voglia) di continuare l'attività senza la guida e il punto di riferimento di chi teneva le fila?

Le Grand Chariot R2Qd0Ub
The Plough: una scena del film

Tra gioie e dolori

Philippe Garrel torna alla Berlinale dopo aver partecipato, sempre in concorso, nel 2020 con The Salt of Tears. Anche in Le grand chariot il regista sembra non voler assolutamente perdere di vista le tematiche e lo stile che più lo caratterizzano, dipingendo un racconto incentrato sulle relazioni (biologiche, professionali, sentimentali) di un gruppo di personaggi che si devono confrontare con dei cambiamenti importanti nelle loro esistenze. Si ride parecchio in questo film, ma l'ironia è sempre perfettamente bilanciata da una componente più drammatica e malinconica pronta a fare capolino ogni volta che la tensione drammaturgica sembra essersi un po' dipanata. Il tutto viene infatti amalgamato con esperienza dall'autore, il quale riesce a condurre il pubblico a tu per tu con tematiche decisamente ingombranti e scivolose (le conseguenze emotivo di fronte a un lutto, prima fra tutte) mantenendo però un piglio sempre fresco e leggero, ma non per questo superficiale.

Tra finizione e realtà

Un altro aspetto estremamente interessante di Il grande carro riguarda il lavoro che il regista svolge per indagare il confine con l'autobiografismo. Se infatti è indubbio che non si tratti di una pellicola mirata a ricostruire la storia personale di Philippe Garrel, è anche vero che sono molti gli indizi che lasciano pensare a un lavoro pensato per fare il punto sul proprio percorso. Si tratta infatti di un lungometraggio che vuole tematizzare la terza età e la dipartita delle generazioni più anziane; è la prima volta che il regista chiama sul set tutta la sua famiglia; si parla di un'arte antica e in via di estinzione alla quale approcciarsi in maniera irrazionale e appassionata (il cinema?). Sembra quindi che Garrel abbia voluto fermarsi a riflettere sul suo percorso (sia professionale che privato) per portarlo in scena secondo il suo sguardo e la sua cifra cinematografica.

Conclusioni

Nella recensione di Le grand chariot abbiamo parlato di un film che riesce a emozionare e rievocare nostalgicamente la passione per un'arte quasi estinta in cui (forse) il regista vede all’orizzonte la medesima sorte che potrebbe toccare a quella cinematografica. La mano solida dell’autore francese si vede tutta e la pellicola regge egregiamente anche grazie al notevole apporto dei suoi interpreti, perfettamente in parte e amalgamati come raramente si è visto sul grande schermo.

Movieplayer.it
4.0/5
Voto medio
4.0/5

Perché ci piace

  • L’apparente semplicità e leggerezza con cui si trattano tematiche scivolose e delicate come il lutto o la terza età.
  • L’alchimia e la sintonia dei tre protagonisti che risultano sempre spontanei e genuini nelle loro interazioni, senza mai dare l’idea di una minima forzatura interpretativa.
  • La perfetta commistione tra finzione e autobiografismo.

Cosa non va

  • Se non si entra e si apprezza lo stile minimalista e autoriale del regista francese, difficilmente si potrà entrare in sintonia con un film che non cerca il minimo compromesso con il pubblico.