Il cinema sudamericano si conferma più vitale che mai con l'ennesimo titolo di spessore, Le ereditiere di Marcelo Martinessi. La peculiarità del film, di cui non possiamo non tessere le lodi nella nostra recensione, sta nella sua provenienza. La cinematografia paraguayana è meno nota e blasonata di quelle cilene, argentine e messicane, ormai pluripremiate in tutto il mondo. Il film di Martinessi presenta, però, la stessa spinta vitale, la stessa attenzione alle istanze civili che serpeggia tra le maglie di una vicenda personale.
Protagoniste de Le ereditiere sono Chela e Chiquita, due donne benestanti che convivono da trent'anni e, cadute in disgrazia, sono costrette a disfarsi dei beni di Chela vendendoli a poco a poco. Mentre Chiquita è costretta ad affrontare un'accusa di frode e il carcere per proteggere la compagna, Chela, l'unica a saper guidare pur non avendo più la patente, si improvvisa tassista per un gruppetto di anziane signore benestanti e qui fa la conoscenza della giovane e sensuale Angy.
Leggi anche: Uguali ma diverse: da The Handmaid's Tale a Feud, la TV racconta la pluralità femminile
Quando il non detto ha più peso delle parole
Le ereditiere è un'opera prima che denota una maturità e una profondità rare. La pellicola di Marcelo Martinessi affronta tematiche complesse come il divario tra le classi sociali, l'ipocrisia, la passione in età avanzata, l'omosessualità femminile, il tutto in una società come quella paraguayana infestata dai pregiudizi. Società raffigurata con pochi, ma sapienti tocchi dal regista. Basti pensare alle sequenze in cui Chiquita accoglie i compratori dei beni di Chela o ai viaggi in macchina di Chela, accompagnati dal chiacchiericcio rivelatore delle ricche conoscenti che si fanno scarrozzare dalla donna a giocare a bridge mentre snocciolano commenti tranchant.
L'universo femminile descritto da Marcelo Martinessi è un luogo in cui il non detto ha un peso superiore a quello delle parole, è un mondo intimo, ermetico, in cui i sentimenti non vengono esplicitati, ma si evincono dai gesti e dai comportamenti dei personaggi. È anche un luogo fisico, la casa di Chela, una villa dalle stanze buie in cui gli oggetti di valore sono disposti sui tavoli del soggiorno, pronti per la vendita. La casa in dismissione somiglia dolorosamente al corpo e alla mente della sua padrona, protetta per troppo tempo dalla compagna e amante (magistrale la sequenza in cui Chiquita prepara con cura il vassoio di pillole e bevande per Chela), ma ora costretta a fare i conti col proprio decadimento fisico ed economico.
Leggi anche: I 10 anni di Brokeback Mountain: la Top 10 delle più belle love story gay del decennio
La rivoluzione femminile
Abbandonando la propria dimora, seppur brevemente, per improvvisarsi tassista, Chela entra in contatto con il mondo esterno che nasconde novità e sorprese. La più gradita è l'incontro con la giovane e sensuale Angy, una boccata d'aria fresca tra le conoscenze soffocanti dell'élite a cui appartiene. È proprio nel rapporto tra le due donne e nella sua evoluzione che Marcelo Martinessi svela la propria sensibilità tratteggiando con delicatezza l'evoluzione dei personaggi e del loro mondo interiore. La direzione delle attrici, capaci di fornire performance complesse ricche di sfumature, fa il resto. In una nazione guidata da una dittatura maschilista e patriarcale, Marcelo Martinessi dipinge un universo interamente femminile in cui i pochi uomini hanno ruoli da semplici comparse. Una forma di resistenza che, unita al rigore formale della messa in scena, dà al suo piccolo film un'inedita carica rivoluzionaria.
Movieplayer.it
3.5/5