Dinanzi ad una platea di giornalisti speranzosi di scoprire se Le confessioni di Roberto Andò sarà uno dei film in concorso al prossimo Festival di Cannes, il regista e gli attori del cast hanno tentato di sviare il discorso sul loro lavoro. Dopo il successo di Viva la libertà il regista siciliano ha pensato di continuare la sua riflessione sull'attuale situazione politica, allargando la sua prospettiva. In un summit internazionale si riuniscono gli economisti più eminenti, ai quali si aggiunge un monaco certosino (Toni Servillo), che creerà non poco scompiglio nelle loro coscienze, prima che nei loro piani.
Prima della conferenza stampa romana, alla quale hanno preso parte quasi tutti gli interpreti principali del film, ascoltiamo un videomessaggio di Daniel Auteuil che si scusa per la sua assenza. L'attore francese spiega di essere impegnato a teatro e di non amare i viaggi in aereo. Tra tutti gli attori presenti ha rivolto un pensiero affettuoso a Toni Servillo e al regista che abbiamo incontrato in vista dell'uscita del film del 21 aprile (in 250 sale).
Figure di potere
La prima cosa che colpisce di questo film è la sua attualità. Quando avete scritto di preciso il copione?
Roberto Andò: La prima idea risale a circa due anni e mezzo fa. Poi ovviamente c'è stato un lungo viaggio verso la sceneggiatura definitiva.
Raccontare il potere dell'economia è una sfida non indifferente. Come mai ha avvertito l'esigenza di farlo?
Mi sembrava naturale proseguire un racconto sulla base delle cose che più mi inquietano e mi assillano. Oggi l'economia ha assunto un ruolo centrale, nonostante stia vivendo un periodo particolare. Ha perso le sicurezze che aveva esibito ed è andata incontro a delle crisi che non ha saputo fronteggiare. Nel film ho voluto mostrate il disorientamento delle figure di potere spiazzandole attraverso un monaco che diventa testimone. Con lui abbiamo accesso a quelle stanze segrete che non vengono mai aperte al pubblico. Quel confronto ci mette davanti a tutti gli interrogativi che non abbiamo ancora risolto.
Paragoni ingombranti
Ha patito il passaggio dal particolare all'universale da Viva la libertà a Le Confessioni?
Roberto Andò: In molte interviste mi hanno chiesto di Elio Petri, che è sicuramente un regista che amo molto. Di recente ho rivisto Todo modo e trovo che sia ancora oggi un film bellissimo. Io credo che sia importante creare un ponte tra immaginazione e realtà, il che significa anche confrontarsi con la politica ma senza farlo in modo costrittivo come negli anni Settanta. Oggi è un privilegio interrogare la politica. La religione e l'arte sono gli unici elementi che potessero conferire un tono diverso al film ma non credo di essere l'unico regista interessato a farlo al momento. Detto questo non credo che la politica sia il tema esclusivo a cui mi dedicherò nei prossimi anni.
A parte il titolo, qual è il suo debito di scrittura a Sant'Agostino?
Come ha sottolineato lei al di là del titolo c'è ben poco. Le Confessioni è un testo straordinario e importantissimo per tutta la cultura occidentale perché racconta per la prima volta l'interiorità. In questo caso la confessione è solo la modalità che sperimenta il monaco Roberto Salus per far emergere ciò che gli uomini di potere tengono nascosto. Sant'Agostino viene citato durante il suo colloquio con Daniel Roché ma il riferimento al testo non va oltre.
Essere Toni Servillo
Servillo, perché ha scelto questo copione tra tanti?
Sono trascorsi tre anni da Viva la libertà, che è stato l'ultimo film che ho girato dopo La grande bellezza. In questo arco di tempo ho preferito dedicarmi al teatro. Ho scelto questo progetto perché mentre nel precedente film di Andò si è tentato di costruire un ponte tra la realtà e l'immaginazione, in questo si va più in profondità.
Che cosa ha amato di Roberto Salus?
E' un personaggio singolare perché è un uomo di fede che ha un credo ma che si mostra come una persona credibilità e Dio sa quanto ne abbiamo bisogno! Non direi che è silenziosamente opportunista del silenzio ma oppone ad un mondo di dichiarazioni ufficiali una dignitosa renitenza. Non dirà mai ciò che non pensa. Quando si viene chiamati a recitare un eroe positivo è molto eccitante poiché si è chiamati a mettere il pubblico in una posizione un po' più scomoda. Lo spettatore deve assumere una maggiore responsabilità nel paragone, che è più distante nel caso dei personaggi malevoli. Mi sono lasciato orientare da queste osservazioni e dal meccanismo avvincente di entrare con il cinema in luoghi segreti attraverso una figura che non immagineresti mai in mezzo a dei potenti. Loro credono che la vita degli altri gli appartenga e si confrontano con un uomo che crede che non gli appartenga neanche la sua stessa vita.
Come in altri film, anche in questo caso interpreta una guida. E' a suo agio nel ruolo?
Toni Servillo: Guidare il pubblico all'interno di una vicenda è una lusinga per un attore, poiché significa riuscire a sedersi nel cuore dello spettatore, a farsi testimone di un film. In questo caso è un'opportunità del personaggio e spero che il pubblico goda di questo, l'accesso ad un summit dove si decide il destino del mondo. Il nostro è un lavoro di trasmissione, lavoro molto a teatro con i giovani, sarei uno stupido a confermare di essere una guida per loro ma se così fosse ne sarei felice.
La politica cattiva maestra
Favino, lei si è ispirato a qualche ministro italiano in particolare per dare vita al suo?
Pierfrancesco Favino: Non c'è stata un'immagine di riferimento reale. Ho visto e rivisto tante conferenze tenute dai leader a cui ci ispiriamo nel film. La platea sa già cosa aspettarsi dai loro discorsi reiteranti. Mi ha colpito il distacco che c'è tra il loro corpo e la loro voce che non racconta nulla di empatico. Mi sono chiesto cosa si provasse ad entrare in un corpo che si esprime solo attraverso delle formule matematiche. Sarebbe stato riduttivo fare l'imitazione di qualcuno.
Crede che il suo personaggio si redime alla fine del film?
Per me contava maggiormente capire l'origine del suo comportamento. Non credo che quest'uomo si redima perché, nella sua vita, ci sono logiche più importanti del pentimento. Ciò che lo distingue dagli altri è la sua italianità perché porta a galla la sacralità, che è presente nella nostra cultura anche quando siamo atei.
La coscienza femminile
Nel film le donne sembrano le uniche ad avere un'anima, a parte Salus.
Roberto Andò: Non ci viene presentata una grande gamma di sfumature quando ascoltiamo gli economisti parlare nei luoghi deputati. Non volevamo farne delle macchiette. Il personaggio dell'economista canadese ha un dubbio che diventa una necessità: vuole uscire da quella zona griglia sebbene nei luoghi che abita non vi sia sempre possibilità di farlo. La scrittrice, invece, è una guida alla conoscenza del monaco, l'occhio dello spettatore per capire come si comporta. Loro rappresentato quelle figure estranee che spesso vengono invitate ai summit per via della loro popolarità.
Che sensazioni hanno avuto le attrici internazionali del cast?
Marie-Josée Croze: Sono stata sedotta dal copione. Avevo visto Viva la libertà e ho visto che Roberto fa del vero cinema affrontando temi difficili come la politica con poesia. I suoi personaggi sono spesso buffi e pieni di contraddizioni. La ministra canadese che interpreto è una donna ingenua, che nutre grande speranza nella vita ma è confusa. Questo le conferisce una grande umanità. Amo i personaggi che non sono molto scolpiti. Roberto è un regista dolce e profondo che ci mette molto a nostro agio ed è anche aperto a suggerimenti. Questo film è stato un'esperienza nutriente.
Connie Nielsen: Ho scelto questo film perché mi piace il cinema che si confronta con l'attualità, mi aiuta a rilassarmi dalle mie frustrazioni. Ciò che ho trovato di diverso questa volta è stata la profondità del copione. Roberto è riuscito a creare un film che non fosse polemico, che non prescrivesse soluzioni ma che ponesse dei quesiti esistenziali. Il mio personaggio poi è pieno di sfumature, è tragico e perfino comico.
L'immaginazione al potere
Qual è il confine tra etica ed estetica nel suo film?
Roberto Andò: L'etica comincia dall'estetica. L'hotel in cui è ambientato il film esiste davvero ed è sul Mar Baltico. Abbiamo subito capito che era il posto giusto, poiché offriva un forte senso di rifugio per persone che cercano di ritrovare un'intimità. Il paesaggio assume al contempo anche una valenza morale, è caratterizzato da bellissimi tramonti ma anche da una geometria razionalista. Non è un caso che in passato sia stata sede di cure mentali per preminenti gerarchi. Mi auguro che del film non prevalga la sua dimensione estetica.
Lo definirebbe un film realistico?
Mi pare dimostrato da quanto accaduto in Grecia, un paese che ci sta molto a cuore perché costituisce un patrimonio, una terra che ognuno di noi ha abitato. L'Italia si è trovata molte volte al centro di una possibile penalizzazione come la Francia, a causa del debito pubblico. Sono scenari della realtà, chiaramente i film li utilizza per un'avventura umana che fa riflettere. Non si pone gli stessi quesiti di un giornalista e non vuole essere predicatorio.
Il futuro prossimo
Ha intenzione di portare qualcosa di suo sul piccolo schermo?
Sono un frequentatore della tv perché credo che offra delle occasioni. Di recente mi hanno chiesto di scrivere una serie per la RAI sulla politica e spero che questo progetto si concretizzi.
Ma non sapete davvero nulla della vostra partecipazione o meno al Festival di Cannes?
Roberto Andò: Per me la domanda è trascurabile.
Angelo Barbagallo: Le rispondo come farebbe ogni produttore che ha inviato i propri film alla commissione francese. Ancora non abbiamo ricevuto un responso.