Difficile lasciar trasparire in questa recensione di Laila in Haifa l'atmosfera vacua e notturna di cui il nuovo film di Amos Gitai è pregno. Presentato in concorso a Venezia 2020, questa nuova opera del regista iraniano trascende una dimensione puramente narrativa girando costantemente a vuoto, tra personaggi rinchiusi in un locale notturno, bloccati nei loro desideri e nella loro incapacità a cambiare le cose. È un film che potrebbe irritare molti spettatori perché non arriva mai a un punto preciso, non si prefigge un obiettivo e non coinvolge quanto vorrebbe. Ma è anche un film capace di ricreare un'atmosfera precisa, carica di erotismo e disperazione, di vite sprecate e di tempo che scorre. Sembra partire dalla protagonista, ma diventa un racconto corale che si riempie di riferimenti politici, sociali oltre che individuali (non sempre in maniera ottimale).
Una notte al bar
La trama del film si potrebbe riassumere in una riga: una notte, in un bar notturno nella città di Haifa, vari personaggi intrecciano le loro storie, le loro relazioni, i loro desideri e la loro voglia di cambiare, senza di fatto riuscire a fare granché. Un plot semplicissimo e diretto che Gitai sembra padroneggiare molto bene nei primi minuti di film. Con un audace piano sequenza il film ci mostra l'artista Gil picchiato e lasciato a terra sul parcheggio del bar. Laila, una ragazza che sta curando l'esposizione di una mostra fotografica di Gil proprio all'interno del bar, lo soccorre e lo porta con sé all'interno dell'edificio. Da lì in poi varie storie si incroceranno, tra sentimenti nascosti e finalmente confessati, concessioni amorose e speranze mal riposte. Il bar di Haifa diventa un microcosmo che racchiude anime perdute, che siano di cittadini israeliani o palestinesi che, nel corso della notte, si confonderanno tra loro cercando un qualche tipo di conforto. Fuori dal bar, che sorge vicino a una stazione ferroviaria, ciclicamente passano i treni, a simboleggiare le occasioni da prendere al volo, le possibilità di cambiare le loro vite, e che non si fermano. Non ha soluzione questa notte così come non ce la possono avere singolarmente, ognuno per sé, i protagonisti del film. Sono capaci di brevi attimi di leggerezza, di qualche flirt più o meno riuscito, di affogare i loro dispiaceri nei bicchieri di liquori, con la consapevolezza di non poter fare altrimenti.
La comunione del vuoto
Fattoush, questo il nome del locale, è quasi una locanda alla fine del mondo, dove le regole che alimentano la quotidianità non valgono e rimangono chiuse fuori dall'ingresso. Nel bar ognuno può essere semplicemente sé stesso o, semplicemente, chi vuole essere: travestiti (con gli sguardi tristi), vedove bionde in cerca di giovani per un'avventura sessuale che si mascherano con le parrucche, donne infelici dei propri partner, persone che rimpiangono la loro vita passata, omosessuali di nazionalità diversa che si uniscono e accettano passivamente un rapporto temporaneo e destinato a morire. Il ritratto che ne consegue è una fotografia (coerente con quelle esposte sulle pareti del locale) di un mondo vuoto, dove i sentimenti sono difficili da esprimere quando si riesce a provarne e dove ognuno, nell'essere parte di un tessuto sociale, cerca in ogni modo di agire per il bene individuale. Non è solo la storia di Laila, la ragazza. È anche il racconto di una notte (Laila in ebraico significa proprio "notte") in Haifa. E questa notte è al centro della città ("in Haifa") come a simboleggiare un'impossibile possibilità di uscita. I treni vanno e vengono, ma senza salirci sopra non si potrà andare da nessun'altra parte.
Venezia 2020: la nostra guida ai 15 film più attesi della 77a Mostra del Cinema
Chiusi in un rifugio troppo protettivo
Sarebbe un film pieno di vita, quello di Amos Gitai, ma spiace constatare come, al di là di qualche momento veramente riuscito (alcuni sguardi, un flirt che si trasforma in un desiderio sfrenato in auto, un divertente appuntamento al buio), Laila in Haifa si perde nella più banale delle scelte. Se la regia di Gitai è virtuosa e tenta di portare sullo schermo l'ebbrezza della notte nel locale, l'atmosfera particolare e unica che si forma tra le mura del bar, spiace ammettere che a livello emotivo il film non coinvolge quanto vorrebbe. Anche accettando il girare a vuoto e il suo essere inconcludente, Gitai sceglie di interrompere le storie che sta raccontando sempre in anticipo rispetto a quanto richiesto, lasciando una sensazione di incompiutezza ancora maggiore. Vorrebbe essere un film molto erotico e carnale, con il tatto come senso principale, ma non spinge mai abbastanza, dando la sensazione di provare timore e vergogna. Non aiutano i dialoghi che il più delle volte lasciano che l'interiorità dei personaggi venga urlata anziché intuita. Il risultato è un film che avrebbe molto da dire, ma preferisce lasciare fin troppo alle suggestioni perdendo forza e, verso la fine, anche senso. Non che sia un male il suo essere inconcludente, ma si sarebbe preferito (e si sarebbe potuto fare) molto di più.
Conclusioni
A conclusione della nostra recensione di Laila in Haifa ammettiamo di essere un po’ delusi dall’ultima fatica di Amos Gitai. Nonostante un’idea senza dubbio affascinante e riuscita, il film - che vuole essere un lungo giro a vuoto sulle vite di alcune persone durante una notte in un ba r- non spinge mai sull’acceleratore. Promette erotismo, carnalità, sentimenti e racconti di speranze, disillusioni e voglia di cambiamento, ma ci riesce solo in alcuni momenti sparuti. La regia virtuosa e un’atmosfera fuori dal tempo di vacuità (che riesce a essere percepita) non possono fare abbastanza contro i dialoghi troppo espliciti, argomentazioni retoriche e una semplicità di fondo che depotenzia di molto le possibilità di riuscita del film.
Perché ci piace
- L’atmosfera nel locale, tra desiderio e speranze, tra disillusione e rimpianti, si percepisce.
- La regia virtuosa di Gitai riesce a tessere un microcosmo di personalità diverse.
- L’idea di base (il locale come microcosmo al centro e il continuo passaggio dei treni ai suoi confini) prometteva grandi cose.
Cosa non va
- I dialoghi tra i personaggi sono innaturali e troppo didascalici.
- Spesso il film finisce per risultare eccessivamente retorico.
- Dovrebbe essere un film volutamente inconcludente, ma la sensazione nel finale è quella di esserlo fin troppo.