"Perché io valgo"; una catchphrase che ha superato addirittura la fama del prodotto che accompagna (l'impero della cosmesi L'Oréal), inserendosi di diritto nel campionario delle citazioni prese in prestito dalla pubblicità e utilizzate nella nostra quotidianità. E a valere cifre ultra miliardarie è soprattutto quella donna che il mondo di L'Oréal lo teneva tra le mani e sotto i suoi piedi: Liliane Bettencourt.
Ma i soldi non fanno la felicità e, soprattutto, non colmano lacune sempre profonde di una donna abbigliata di successo, ma divorata internamente dalla solitudine. Come sottolineeremo in questa recensione de L'Affaire Bettencourt: uno scandalo miliardario, la docu-serie in tre episodi disponibile su Netflix, mostra con decisione e interessante coinvolgimento spettatoriale, le conseguenze che una mente fragile, soggiogata da giochi di prestigio di accanimento sentimentale, possono infliggere non solo negli scarti di bilanci, ma anche nella solidità di legami famigliari, professionali e interpersonali.
L'affaire Bettencourt: uno scandalo miliardario: la trama
Figlia del fondatore di L'Oréal, eccentrica e capricciosa, Liliane Bettencourt riuscì a governare un impero che la portò a essere la donna più ricca del mondo. Tutto procedeva liscio come l'olio, fino a quando fa la sua comparsa il fotografo François-Marie Banier, uomo carismatico e affabile che con il suo savoir-faire circuisce la donna approfittando della sua mancanza d'affetto per ottenere soldi e potere. Molti si insospettiscono, nessuno si fa avanti per aiutare la donna; nessuno, tranne la figlia Françoise che decide di iniziare contro la madre una battaglia a colpi di udienze in tribunale.
Sguardi dall'alto per cadute verso il basso
Ci sono le registrazioni, quelle reali, e la loro sovrapposizione su ricostruzioni di scena, del tutto fittizie. Eppure, a differenza di quanto compiuto in altri documentari, dove il recitato sovrasta il materiale di archivio, in L'affaire Bettencourt: uno scandalo miliardario tutto vive su una perfetta armonia: complice l'escamotage registico di inquadrare tutto dall'alto, senza così rivelare i volti degli attori chiamati a sostituirsi ai personaggi della storia, il mondo riprodotto da questa docu-serie evita di intaccare il racconto biografico, per esaltarne la veridicità. Così facendo si innesta infatti nello spettatore un processo inconscio di sostituzione dove le inquadrature perdono la loro natura cinematografica, per diventare illusoriamente delle pseudo-telecamere di sorveglianza che fanno di ogni materiale ricreato un evento verosimilmente appartenente al campionario di archivio messo a disposizione.
Un'idea racchiusa nello spazio di selezionati momenti, chiamati a dar corpo a registrazioni e voci trattenute per sempre sullo scorrere di un nastro. Il resto della docu-serie si avvale infatti di testimonianze e ricordi da parte di chi quei momenti li ha vissuti sulla propria pelle, o si è ritrovato a studiarli, analizzarli, nella speranza di una condanna, o di un disvelamento di quel velo di Maya che limitava la vista, e annebbiava la razionalità della donna più ricca del Mondo.
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Montaggi dinamici per anime frastagliate
È una bella sorpresa L'Affaire Bettencourt. Il montaggio, per quanto canonico, risulta comunque dinamico e mai banale, avvalorandosi di inserti estranei al contenuto trattato (dai cartoni animati, ad collage che fanno dei volti dei protagonisti, personaggi da banconote) e altri di found-footage. Ma anche il migliore dei raccordi nulla potrebbe dinnanzi alla povertà del racconto, e a fondere sicurezza e interesse a L'Affaire Bettencourt è proprio la sua portata curiosa e al limite dell'assurdità. Sembra un film thriller, tra sfruttamento emotivo e bramosia di ricchezza, quello che vede protagonista François-Marie Banier, Liliane Bettencourt e tutta la sua famiglia, invece si tratta della pura realtà; una realtà che supera ogni inimmaginabile fantasia.
Tutti i soldi (rubati) del mondo
Costruite su tre livelli, ogni puntata tocca e indaga un aspetto cruciale della discesa nelle tenebre da parte di Liliane e del suo dominio, senza forzature, ma con solo il potere della parola e del ricordo. Da vittima alla ricerca di un sentimento vero al di là del successo e dei soldi, la Bettencourt si trasforma prima in donna dispotica e apparentemente avara, che investe in paradisi fiscali, elargisce favoritismi, tangenti ai politici (in particolare al Presidente Sarkozy) e regali costosi, per poi ritrovarsi nel ruolo finale di donna fragile, malata e circuita. Una danza di approfittatori e di coloro che assistono al crollo di una potenza, tentando di destarla da incantatori pronti a offrire amicizie in cambio di ricchezza.
Il caso qui trattato da Maxime Bonnet e Baptiste Etchegaray riesce a toccare tanti punti senza eccedere nella mole di informazioni, ma seguendo con fermezza e chiarezza eventi e fatalità che di semplice non hanno molto. La loro regia prende per mano i propri spettatori e li accompagna con fare attento nel corso di questo itinerario appetibile per un pubblico sempre più spinto a indagare sulle debolezze di uomini e donne di potere, così da vederli cadere dal loro piedistallo e mostrarsi nella loro fallace umanità. La loro è una cinepresa mai in asse, se non per immortalare coloro che hanno seguito in prima persona, o si sono ritrovati complici al centro di questo caso. Il resto si compie di una galleria di riprese angolate, che con inquadrature dall'alto, o dal basso, restituiscono in maniera sottilmente anticipatrice lo squilibrio interno, e la caduta verso un abisso sempre più profondo, di Liliane.
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Il potere ti rende cieco
I conti che si alleggeriscono, e il fardello sempre più pressante di chi è cieco dinnanzi all'avarizia altrui, sono ulteriori indicatori direzionali per i registi circa i punti da cui inquadrare, e le angolature da seguire nella ricostruzione di un'esistenza che dalla ricchezza è stata baciata, e poi tradita. E così, le interviste ad avvocati, giornalisti, contabili e amici, si avvalgono di riprese frontali e canoniche (tipiche dello stile documentaristico), ma è nel momento della finzione, nella riproduzione di momenti invisibili, perché relegati al potere della voce registrata in conversazioni private, che il documentario lascia spazio al thriller. La cinepresa si libera, muovendosi in avanti e indietro, perdendo il proprio baricentro, trascinando lo spettatore direttamente nel pieno dell'azione e di una personalità minacciata da se stessa e dagli altri.
Non vuole indagare e dare una risposta a un caso finanziario dominato dalla portata dei sentimenti, L'affaire Bettencourt: quello che si prefigge tale docu-serie è il puro scopo di raccontare e investire di curiosità un caso non molto conosciuto, così da sorprendere e dimostrare al proprio pubblico quanto umani e ricchi di difetti siano anche i più potenti del mondo. "In fin dei conti siamo di fronte a una storia abbastanza semplice: credo che Françoise inconsciamente abbia tentato fino all'ultimo di farsi amare da sua madre". E L'affaire Bettencourt al di là delle sorprendenti rivelazioni, dei soldi sperperati, o sottratti e regalati, gira attorno a una falla emotiva che tutto attira e ingurgita, come un buco nero impossibile da chiudere. È la storia di una dipendenza affettiva scaturita da quella mancanza di amore che manovra, come un burattinaio sadico, le fila di esistenze che tutto possono comprare, meno che l'affetto, quello vero, quello puro, quello privo di un costo.
Conclusioni
Concludiamo questa recensione de L'affaire Bettencourt sottolineando come la docu-serie in tre episodi disponibile su Netflix riesca a uscire dai cardini del documentario per avvicinarsi ai confini del thriller. Poco interessata a indagare risvolti sospesi e condanne più o meno consone, la docu-serie intende semplicemente raccontare con fare dinamico e coinvolgente un caso poco conosciuto raggiungendo con apparente semplicità gli obiettivi prefissati.
Perché ci piace
- Il montaggio dinamico capace di sostenere il peso del racconto.
- Le riprese dall'alto nelle scene recitate che fanno della cinepresa una sorta di telecamere di sorveglianza.
- La regia degli autori.
Cosa non va
- Il poco spazio destinato alla figlia di Liliane.
- La mancata trattazione dei momenti intermedi tra le indagini di evasione fiscale e la comparsa della malattia.