Chi di voi è un appassionato di calcio? Nella recensione de La volta buona, il nuovo film di Vincenzo Marra, prodotto da Lotus e TimVision e distribuito da Altre Storie il 2 luglio, vi parleremo di calcio da un punto di vista inedito. Ma non solo di quello. Se siete appassionati di calcio un film come questo potrà interessarvi molto: avrete sicuramente sentito parlare di quelle figure che di solito operano dietro le quinte ma sono sempre più fondamentali per la carriera di un calciatore e per la chiusura di un affare, i procuratori. Bartolomeo, il protagonista del film, interpretato da Massimo Ghini, è un procuratore di calciatori. Ma la sua storia non è quella di un Mino Raiola o di un Jorge Mendes. Bartolomeo è un perdente, uno che ha buttato via soldi, affetti e carriera a causa del gioco. E che, per la prima volta dopo tanto tempo, si trova davanti a quella che potrebbe essere "la volta buona". Se non siete appassionati di calcio, il film di Vincenzo Marra può essere però altrettanto interessante: Bartolomeo e gli altri personaggi sono dei loser, dei personaggi pieni di imperfezioni, con cui automaticamente sviluppiamo empatia. La volta buona è un film universale. È il secondo film italiano di un certo livello ad uscire, il 12 marzo, dopo lo stop che ha paralizzato molte uscite cinematografiche. Andate a vederlo. Va sostenuto per questo, e perché è un bel film.
La trama: Massimo Ghini è un procuratore all'ultima occasione
Bartolomeo (Massimo Ghini) è un procuratore sportivo, che da tempo non è più in auge. Il vizio del gioco gli ha tolto soldi, affetti, carriera. È pieno di debiti e si occupa di giocatori di piccolo calibro per sopravvivere, tra i debiti e gli alimenti per una figlia che non vede mai. La volta buona, per lui, può essere la scoperta di un ragazzino, Pablito (Ramiro Garcia), che vive in Uruguay e che il suo amico Bruno (Max Tortora) gli ha consigliato. Così decide di puntare su di lui e lo porta in Italia. Le cose, però, saranno più complicate di quello che crede.
Il calcio e quel sottobosco...
La volta buona è un film che si muove in periferia. È alla periferia, cioè ai margini, di quell'ingranaggio miliardario che è il calcio, dove di quel mondo arrivano le briciole, e spesso nemmeno quelle. Vincenzo Marra ci racconta un sottobosco, quello fatto di figure più o meno oneste, più o meno ciniche. Si muove nelle periferie di una grande città come Roma, tra campetti polverosi e case popolari, dove chi gioca a calcio, e chi punta sui calciatori, spera di fare il grande affare.
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Gioco o talento: si tratta di puntare
È interessante il parallelo tra il vizio di Bartolomeo e il suo lavoro. Che giochi d'azzardo, come fa spesso alle videoslot di baretti di quart'ordine, o che scommetta su un giovane talento, si tratta sempre di puntare su qualcosa o qualcuno senza sapere come andrà a finire. Nel gioco a ogni puntata puoi vincere o perdere. E nel calcio puoi sperare di scovare un talento, ma può sbocciare come bruciarsi, i fattori da cui dipende sono talmente tanti, e anche casuali, che si tratta comunque di una scommessa.
Come Ultimo minuto di Pupi Avati
Se la storia del cinema è fatta di pochi film sul calcio veramente riusciti, sono ancora di meno quelli che sono ambientati dietro le quinte. La volta buona è uno di questi e, più che al recente Il campione, ci viene in mente il bellissimo Ultimo minuto di Pupi Avati. Lì c'era un grande Ugo Tognazzi nei panni di un dirigente calcistico. Qui c'è un Massimo Ghini eccezionale: i capelli sono imbiancati, le barba è sfatta, le occhiaie sottolineano il suo sguardo stanco, cinico, disilluso. Accanto a lui, Max Tortora, qualora ci fossero ancora dubbi dopo Sulla mia pelle, si dimostra un grande attore drammatico. E Francesco Montanari (che proprio in questi giorni stiamo vedendo in tv nella serie Il cacciatore, di cui trovate qui la nostra recensione), nel ruolo di Rosario, un procuratore più affermato, è perfetto nel comunicare cinismo e avidità.
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La disillusione
Ed è proprio un certo cinismo, una particolare disillusione a permeare tutto il film. Che, nonostante si presti a facili commozioni e tenerezze, rimane sempre asciutto, teso, controllato. In fondo Bartolomeo e Pablito sono un padre senza più un figlio e un figlio senza padre: la strada della reciproca adozione, dell'affetto, sarebbe una via immediata per un film americano, o per un film italiano più classico. Ma il film rimane in bilico fino alla fine, con almeno due colpi di scena notevoli e una scelta finale che Bartolomeo dovrà fare, ma che non è mai sottolineata, enfatizzata. In ogni caso, anche se dovessero fare la cosa giusta, Bartolomeo non sarebbe comunque un eroe, solo uno che, per la prima volta, invece che fare un errore prova a rimediare ad esso.
La vera storia di Ramiro Garcia
La prima volta è anche un'occasione per far luce su un mercato di giovani calciatori che è a tutti gli effetti una tratta di minori. È un fenomeno di immigrazione su cui pochi fanno caso: migliaia di giovani che arrivano dall'Africa e dal Sud America non su barconi, ma su aerei, vengono parcheggiati in qualche ostello in attesa di esplodere. Alcuni esplodono. Di molti altri si perdono le tracce. Che ne è di loro? Il giovane Ramiro Garcia, che interpreta Pablito, è proprio uno di questi: un ragazzino argentino di dodici anni, bravo a giocare a calcio che era venuto in Italia per sfondare e che, dopo essere rimasto tra quelli che non ce l'hanno fatta, è tornato in Argentina.
Ottime scene di calcio giocato
Vincenzo Marra racconta tutto questo prima di tutto girando delle ottime scene di calcio giocato, che, come sappiamo, è una delle cose più difficili del mondo del cinema. Non preme mai l'acceleratore della commozione e della retorica, e questo per un film con una storia come questa è un gran pregio. Ci piace come dal campo di calcio alzi spesso la macchina da presa vero i palazzoni che circondano quel rettangolo di prato verde. E ancora più su, verso il cielo. Come a dire: c'è la vita oltre il calcio. E, alla fine, stiamo tutti sotto al cielo.
Conclusioni
Nella recensione de La volta buona vi abbiamo parlato di un ottimo film: è legato al mondo del calcio, ma la storia che racconta è universale; è una storia di perdenti, di occasioni mancate e di (possibili) redenzioni. Vincenzo Marra scrive un'ottima sceneggiatura e non fa scivolare mai il film nel commovente o nel retorico. Ed è sostenuto da tre grandi attori: Massimo Ghini, Max Tortora e Francesco Montanari.
Perché ci piace
- Bartolomeo e gli altri sono dei loser, dei personaggi pieni di imperfezioni, con cui automaticamente sviluppiamo empatia.
- Massimo Ghini è eccezionale: i capelli sono imbiancati, le barba è sfatta, le occhiaie sottolineano il suo sguardo stanco, cinico, disilluso.
- Il film non preme mai l'acceleratore della commozione e della retorica.
Cosa non va
- Qualche snodo della trama a volte sembra un po' forzato, come le continue fughe del ragazzino.