Con l'eccezione delle immagini finali, una manciata di secondi di filmati girati nella Striscia di Gaza, i quasi novanta minuti de La voce di Hind Rajab si svolgono interamente nell'ufficio di un centralino della Mezzaluna Rossa a Ramallah, in Cisgiordania, ricostruito dalla regista Kaouther Ben Hania in uno studio cinematografico in Tunisia. La Mezzaluna Rossa, ramo 'gemello' della Croce Rossa nella più importante organizzazione umanitaria del pianeta, costituisce per definizione non solo un simbolo di speranza, ma uno degli strumenti più concreti ed essenziali alla salvaguardia dei diritti umani nelle aree segnate da conflitti; un memorandum per ribadire che, perfino nel contesto di una guerra, esistono garanzie inalienabili e veicoli di solidarietà. Ma se invece non fosse più così?
Il genocidio a Gaza raccontato da Kaouther Ben Hania

La voce di Hind Rajab parla anche, e forse soprattutto, di questo: di una tragedia che non è più soltanto una guerra, perché della guerra viola le regole fondamentali, e che pertanto si trasforma in qualcos'altro, in un orrore che richiama alla mente i capitoli più terribili della storia contemporanea. Ricompensata con il Gran Premio della Giuria alla Mostra del Cinema di Venezia 2025 e dal 25 settembre nelle sale italiane, la pellicola in questione è firmata da Kaouther Ben Hania, una cineasta i cui film sono caratterizzati da un forte impegno sociale e politico: la denuncia della violenza contro le donne (e della complicità degli appari burocratici) ne La bella e le bestie (2017); la problematica prospettiva occidentale sul dramma dei rifugiati ne L'uomo che vendette la sua pelle (2020); e i fenomeni di radicalizzazione e di guerra civile in Libia nel documentario Quattro figlie (2023).

Ne La voce di Hind Rajab, Kaouther Ben Hania ritorna al cinema di fiction, seppure con una componente di pura realtà (l'uso delle autentiche registrazioni delle telefonate della bambina di cinque anni che dà il titolo al film), e assume il punto di vista di un'unità di operatori della Mezzaluna Rossa, impegnati a coordinare gli interventi di salvataggio con i paramedici in attività nella Striscia di Gaza. È un meccanismo narrativo, quello degli "eroi a distanza" alle prese con una forsennata corsa contro il tempo, già ben consolidato attraverso tanti racconti cinematografici; perché allora, al di là dell'inserto - emotivamente potentissimo - della vera voce di Hind Rajab e della dolorosa attualità della vicenda (che risale al 29 gennaio 2024), l'opera di Ben Hania sta avendo un impatto tanto intenso?

Chi salva una vita, salva il mondo intero

Questi due motivi, beninteso, sarebbero già di per sé sufficienti, ma c'è un elemento in più che contribuisce alla straordinaria forza del film, al senso di sgomento in cui ci fa sprofondare durante la visione: è la presa di coscienza che quel meccanismo così familiare, per molti addirittura un tópos hollywoodiano, a Gaza si è inceppato irrimediabilmente. I protagonisti de La voce di Hind Rajab sono un manipolo di individui che, con coraggio e abnegazione, si battono per una causa ben precisa: riportare un barlume di ordine nel caos, sostenere l'esistenza di principi ineludibili anche in uno scenario bellico. E quale azione più 'primordiale', in tal senso, che prestare soccorso a una bambina in pericolo? È un archetipo fiabesco, e quindi insito nel DNA della nostra cultura; un gesto che dovrebbe essere connaturato ai concetti stessi di civiltà e umanità.

"Chi salva una vita, salva il mondo intero", è il detto del Talmud reso celebre dal film Schindler's List, e diventato da allora non solo una frase-simbolo della memoria dell'Olocausto, ma un motto legato alla più alta forma di eroismo. Nessuna storia, però, è tale senza che gli eroi fronteggino degli ostacoli, e per salvare la vita di Hind Rajab il grande nemico di Omar A. Alqam (Motaz Malhees), di Rana Hassan Faqih (Saja Kilani) e dei loro colleghi della Mezzaluna Rossa è il "come". È giusto inviare direttamente un'autoambulanza a prelevare quell'unica, piccola superstite da un'auto crivellata dai proiettili dell'esercito israeliano nel cuore dell'inferno di Gaza? O invece, come sostiene fermamente Mahdi M. Aljamal (Amer Hlehel), responsabile del coordinamento, bisogna seguire l'iter stabilito, per quanto lungo e farraginoso?
Ascoltiamo Hind Rajab: tutto il resto è silenzio

Per gran parte del film, questo è il dilemma morale che arriva a mettere i personaggi l'uno contro l'altro, tramutando la cronaca di una fatidica giornata in uno psicodramma sempre più serrato e incalzante, in cui al comune obiettivo - la salvezza di Hind Rajab - si aggiunge una serie di complesse variabili: l'aumentare dei rischi con il trascorrere dei minuti e delle ore; l'incolumità dei paramedici; il rispetto di un protocollo dai contorni kafkiani, e che passa attraverso quelle stesse autorità israeliane responsabili del genocidio del popolo palestinese. E per quanto ci risulti più spontaneo aderire al sentimento di urgenza espresso da Omar, la sceneggiatura di Kaouther Ben Hania fa sì che nel team della Mezzaluna Rossa non si creino schematismi manichei: lo stesso Mahdi, inchiodato a una burocrazia serpentina, ha il cuore dalla parte giusta e incamera l'angoscia logorante di un'attesa senza fine.

È al termine di tale attesa che La voce di Hind Rajab ci pone al cospetto di un'atroce verità: l'archetipo non è più valido; gli eroi sono stati beffati; la strada più lenta e difficile, ma percorsa secondo le 'regole', conduceva comunque a una doppia catastrofe, il crimine di guerra commesso dal battaglione israeliano del Colonnello Beni Aharon. Per novanta minuti i protagonisti si battono per porre un argine al caos, per darci prova che anche nella guerra resistono scintille di umanità, ma il silenzio finale è la constatazione del baratro: la prova tangibile che neppure l'etichetta di "guerra" si presta a descrivere l'orrore in atto a Gaza. Non c'è alcuna catarsi ne La voce di Hind Rajab, né il film ha risposte da offrirci; quello che chiede a noi tutti è non far finta di nulla, metterci in ascolto e, se non altro, riconoscere quell'orrore.