Senza polemiche non sarebbe Venezia. E in questi giorni della 66° Mostra del Cinema non si può certo dire che siano mancate: si è cominciato prima della partenza, con le critiche a quello che sulla carta sembrava un programma minore, con pochi grandi nomi ed alcune scelte poco ortodosse, e alla fine si è quasi tutti concordi nel dire che si tratta di una delle migliori edizioni degli ultimi anni. Si è proseguito poi tra interferenze (il premier Silvio Berlusconi che si improvvisa critico cinematografico per Baarìa), insulti (quelli ad Alessandra Mussolini contenuti nel film Francesca, diretta conseguenza di alcune dichiarazioni passate dell'onorevole sul popolo rumeno), censura (i famosi spot di Videocracy - Basta apparire rifiutati dalle emittenti televisive), provocazioni (Michele Placido che in conferenza stampa esplode quando gli viene chiesto come possa far convivere le proprie ideologie politiche e il vedere il proprio film distribuito da Medusa) e perfino azioni legali (oltre alla Mussolini che ha anche minacciato di far ritirare il film di Popescu, anche lo stesso Placido che risponde alle denigrazioni pubbliche del ministro Brunetta ricorrendo all'avvocato).
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Perché dunque Lebanon è riuscito dove tanti hanno fallito? Perchè, potrebbe darsi, si tratta di un film meno politico dei suoi predecessori, e parla, come rilevato dal presidente della giuria internazionale di Venezia 66., Ang Lee, di una esperienza universale. Oppure la giuria potrebbe aver scelto di prendere una posizione politica, o anche aver sottovalutato o volutamente ignorato il potenziale esplsivo della scelta di incoronare il film di Samuel Maoz, come fa pensare l'atteggiamento rilassato di Ang Lee e degli altri giurati, che - come con Jasmine Trinca, che ha dovuto indirizzare da sé, con un certo imbarazzo, le domande sul suo status di "attrice emergente" - non hanno rilasciato alcun commento.
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Il regista ha replicato nell'unica maniera possibile, sottolineando la natura autobiografica dell'opera e la limitatezza della sua memoria e della prospettiva personale, che non vuole abbracciare il punto di vista di un intero paese, né commentare un'intera guerra.
Ciononostante, il fuoco della polemica viene alimentato anche da parte israeliana, con un intellettuale di sinistra piuttosto in vista che ha attaccato pubblicamente i quattro giovani attori protagonisti del film, colpevoli di aver evitato la leva grazie alla loro carriera cinematografica e pertanto indegni di rappresentare soldati che hanno conosciuto davvero la sofferenza, il sacrificio e la morte.
Insomma, se è vero che la Mostra di Venezia vive anche di polemiche, quest'anno il festival lagunare ha dimostrato una rinata vitalità anche da questo punto di vista, e una sorprendente capacità di porsi al centro del dibattito non solo cinematografico ma anche politico, sociale e culturale.