La terra dei santi: la Calabria e l'altra metà del crimine

Il regista Fernando Muraca dirige un ritratto apprezzabile, anche se registicamente un po' convenzionale, del mondo criminale della 'Ndrangheta e della sua penetrazione nel territorio, concentrandosi sul suo impatto sull'universo femminile.

Se quello della criminalità organizzata (nelle sue varie forme) è un tema da sempre presente nel nostro cinema, al punto da risultare, storicamente, quasi un topos della cinematografia italiana (non sempre e non solo di genere noir) è senz'altro vero che, tra le varie mafie che hanno attraversato il grande schermo, la 'Ndrangheta è quella che da sempre è rimasta maggiormente in ombra. La conformazione particolare del fenomeno, la sua maggior chiusura rispetto alle altre organizzazioni criminali, la relativa mancanza di informazioni che tuttora ne circonda strutture e meccanismi, l'hanno resa una sorta di corpo estraneo per il cinema e la fiction, così come per gran parte delle cronache giornalistiche, del nostro paese.

La terra dei santi: una scena
La terra dei santi: una scena

Prima del recente, notevole film di Francesco Munzi, Anime nere, poco era stato quindi detto al cinema sulle 'ndrine, sui loro capi e sulle loro strutture, con la rilevante eccezione di alcuni documentari (tra questi ricordiamo Uomini d'onore di Francesco Sbano, datato 2006): va quindi accolto con favore, non foss'altro che per il suo valore divulgativo, un prodotto come questo La terra dei santi, esordio nel lungometraggio del regista (già impegnato nella scrittura e regia di vari prodotti televisivi) Fernando Muraca. Il film è il risultato della sinergia creativa con la sceneggiatrice Monica Zapelli (già autrice dello script de I cento passi) che ha in seguito adattato questa storia nel suo romanzo Il cielo a metà: lo scopo è gettare, più da vicino, uno sguardo su rituali e regole non scritte delle organizzazioni criminali calabresi, concentrandosi in particolare sul ruolo che ha, in esse, l'universo femminile.

Mogli e madri di morte

La terra dei santi: una scena del film
La terra dei santi: una scena del film

Il film di Muraca esce nelle nostre sale in curiosa contemporaneità col francese French Connection, dedicato alla mala marsigliese degli anni '70: opere diverse per intenti, struttura e modalità di rappresentazione, ma accomunate dallo stesso tentativo di sguardo antropologico all'interno di un fenomeno, nonché dal tema del confronto costante, motivo centrale di entrambe le pellicole, tra un rappresentante della legge e un esponente criminale. Confronto che tuttavia, qui, è declinato interamente al femminile: mentre la giudice Vittoria, col volto di Valeria Solarino, è una donna che ha annullato la sua vita con lo scopo di combattere la criminalità organizzata, la Assunta di Daniela Marra è prigioniera di una vita che non ha scelto, incapace anche solo di immaginare, per sé e i suoi figli, un futuro lontano dai meccanismi di potere e terrore della famiglia. In mezzo a loro, la sorella di Assunta, Caterina (col volto di Lorenza Indovina) che la vita di donna di 'Ndrangheta l'ha invece abbracciata, sacrificandovi gran parte della sua umanità.

Il film mescola il tema più generale del ruolo delle donne nell'organizzazione criminale (caratterizzato da una solo apparente acquisizione di visibilità e potere, in realtà con tratti rigidamente codificati, e dalle maglie strettissime) con quello più specifico della maternità all'interno di un contesto criminale: l'essere madre prima che donna di 'Ndrangheta interroga il personaggio di Assunta sul suo diritto stesso di crescere i suoi figli, tracciando per loro lo stesso percorso criminale dei genitori. Interrogativo che è speculare a quello che si pone Vittoria, che quei figli, in nome del loro stesso interesse, vorrebbe invece sottrarli alla tutela genitoriale.
"Il punto di partenza", ha detto Monica Zapelli presentando il film alla stampa, "è stata la sentenza del 2008 nel processo De Stefano, che toglieva al boss la tutela dei figli minori. La domanda è 'di chi sono i figli?' Lo stato ha diritto di intervenire, in questi casi, o, se lo fa, si trasforma in stato etico, uscendo dalle sue competenze? La risposta, il film non la dà: la lascia piuttosto allo spettatore".

Lo sguardo interno

La terra dei santi: Valeria Solarino in una scena
La terra dei santi: Valeria Solarino in una scena

Uno degli aspetti più interessanti del film è in effetti quello di aver problematizzato l'attività di tutti i protagonisti, da entrambe le parti della legge, mettendone in luce le radici personali e sociali; riuscendo davvero a restituire uno sguardo realistico sull'universo delle 'ndrine, sul suo permeare ogni aspetto della vita dei singoli, sul suo stabilire un sistema di rigide norme alle quali a nessuno è concesso sottrarsi. "Lei non sa nulla della Calabria", ripetono a più riprese Assunta e Caterina rivolte al personaggio interpretato dalla Solarino; una tesi che, per ciò che si vede nel film, ha più di un elemento di verità. Questo relativismo di sguardo è stato sottolineato anche dalla stessa Lorenza Indovina, interprete di Caterina: "Ho tentato di affrontare il personaggio senza dare giudizi: nella scena dell'interrogatorio si scontrano due mondi, con regole completamente diverse. Dal suo punto di vista, lei è nel giusto: sta proteggendo la sua famiglia, e cerca anche di proteggere la sorella rispetto alle regole di questo mondo".

La terra dei santi: un'immagine notturna del film
La terra dei santi: un'immagine notturna del film

Un'assenza di giudizio necessaria per la credibilità del racconto, e per la sua capacità di sviscerare ogni aspetto del fenomeno che analizza, da quelli strettamente criminogeni a quelli che agiscono tramite il controllo sociale e la sanzione; ma anche per rendere conto del carattere opprimente, totalizzante, del sistema criminale in cui le due sorelle agiscono, della sua capacità di proteggersi e autorigenerarsi, della sua totale impermeabilità alle influenze esterne. Una descrizione che trova il suo culmine nella suggestiva sequenza del rito di iniziazione a cui il giovane Giuseppe si sottopone, e con cui consacra la sua vita all'organizzazione. "Nella realtà il rito non avviene così", ha rivelato il regista. "Il testo recitato è quello, ma spesso il contesto è molto più squallido. Ho aggiunto le candele, che nella realtà non ci sono: volevo far capire che era un rito religioso. Lì, la natura della persona cambia: dopo il rito si perde il libero arbitrio. Nella 'Ndrangheta, anche per questo non ci sono praticamente pentiti: oltretutto, l'affiliazione prevede che un altro associato si faccia da garante per l'iniziato, offrendo la sua stessa vita".

L'estetica e l'impatto

Se gran parte dei meriti di questo La terra dei santi si devono all'ottima sceneggiatura, alla sua precisione nel delineare un mondo autoreferenziale, così come i suoi limitati rapporti con l'esterno, va detto che la regia di Muraca soffre invero di un'eccessiva timidezza, tradotta in una messa in scena abbastanza convenzionale. Specie se paragonata alla dinamicità del già citato Anime nere, la regia del film si rivela in effetti un po' ingessata, scolastica, corretta nella gestione dei tempi e nella direzione degli attori, quanto sostanzialmente priva di guizzi: se si eccettua la già citata sequenza del rito, si avverte in tutto il film il peso di un'impostazione televisiva nell'estetica adottata, frutto probabile dei trascorsi del regista. Un limite che inevitabilmente grava un po' sul ritmo della vicenda e sul suo specifico filmico; finendo per avvicinare l'opera (malgrado le intenzioni dichiarate dai suoi autori) alla dimensione della fiction di derivazione cronachistica. Nonostante questo, è comunque apprezzabile la scelta di dotare le immagini di una fotografia desaturata, che annulla la solarità dei luoghi (una Calabria ricostruita in esterni pugliesi) immergendo il film in una predominante grigia che riflette bene le atmosfere del racconto. Nel cast, molto efficaci si rivelano le prove attoriali di Lorenza Indovina e di Daniela Marra, nei ruoli delle due donne di 'Ndrangheta; complessivamente, queste ultime appaiono più credibili di una Solarino che, a tratti, soffre l'atteggiamento intransigente del personaggio, la dimensione di "missione" con cui affronta il suo lavoro.

La terra dei santi: Valeria Solarino in un'immagine del film
La terra dei santi: Valeria Solarino in un'immagine del film

Malgrado i limiti nell'impostazione e nella confezione, va comunque dato atto a Muraca di aver diretto un film che ha il coraggio di affrontare il tema della criminalità organizzata (nello specifico del territorio calabrese) da un'ottica inedita; riuscendo a restituire un quadro sfaccettato e credibile di un sistema sociale e di un territorio. Se la resa filmica dell'insieme non sempre convince appieno, la pregnanza dei temi, e il modo tutt'altro che scontato in cui vengono approcciati, rendono comunque l'opera meritevole di visione.

Movieplayer.it

3.0/5