È ormai da qualche anno che il cinema documentario italiano - e non solo grazie al Leone d'Oro di Sacro GRA all'ultima edizione del Festival di Venezia - sta crescendo per qualità, quantità e interesse che riesce a suscitare. Necessaria conseguenza è l'uscita in sala che questi film si riescono a guadagnare, un'eventualità purtroppo ancora troppo rara, ma senz'altro in crescita. Fuoristrada, che dopo essere stato presentato allo scorso Festival di Roma uscirà in sala a partire dal 27 marzo, è in tal senso un caso fortunato. A dirigere il film è l'esordiente Elisa Amoruso che ci racconta la storia bordeline di Pino, un meccanico che gestisce un'officina nella zona di San Giovanni a Roma e che da anni ha deciso di vestirsi da donna, facendosi chiamare Beatrice, e ha persino fatto un'operazione al seno. "Non mi piace essere chiamato transessuale - chiarisce subito Pino/Beatrice - secondo me è una brutta parola. Io sono io e basta. Io sono Giuseppe e sono Beatrice. Tutto qua". L'abbiamo incontrato a Roma al Kino in occasione della presentazione alla stampa del film che sarà distribuito dall'Istituto Luce. Con Pino/Beatrice erano presenti anche la regista Elisa Amoruso, il distributore Beppe Attene e i produttori Alfredo Covelli e Roberto De Paolis.
Una storia d'amore al di là della diversità "Ho conosciuto la storia di Pino tramite una mia vecchia amica che portava la macchina da lui - racconta Elisa Amoruso - e mi ha chiamato per dirmi che secondo lei quella storia poteva interessarmi e poteva diventare un film". Ma quello che ha attratto di più la Amoruso è stata, al di là dell'originalità della vicenda, la storia d'amore di Pino/Beatrice con sua moglie, Marianna, una donna rumena che gestisce una sartoria proprio di fianco all'officina di Pino. "Quando ho incontrato Pino e gli ho chiesto se voleva fare il film lui mi ha detto subito di sì, ma mi ha avvertita che dovevo chiedere il permesso a sua moglie. Convincere Marianna è stato un po' più difficile, ma alla fine ce l'abbiamo fatta. Il loro rapporto sincero e fortissimo è subito diventato il centro del film. Loro hanno deciso di mostrarsi senza paura, così come sono, con valori sani e - come dire - normali. Quello che volevo nel fare il film era di non prestare il fianco al grottesco e al surreale. E ci sono riuscita proprio grazie al loro amore e, in tal senso, una decisione di regia che ho preso è stata quella di riprenderle quasi sempre insieme, tutt'e due nella stessa inquadratura. Insomma, non mi interessava raccontare la vicenda di una famiglia particolare che vive attraverso le difficoltà e l'ostilità della società, quanto l'unione e la comunanza tra due esseri umani". La facilità di raccontarsiPer Beatrice non c'è stata nessuna difficoltà a raccontarsi. "No, quando Elisa è venuta da me, io le ho detto di sì senza pensarci un attimo. E poi, durante le riprese, non ho sentito la sua presenza, non dovevo recitare e mi comportavo come mi comporto sempre. Io andavo in un posto e poi in un altro e lei mi seguiva. Poi rivedermi è stato bello, perché ho pensato: ammazza quante cose faccio durante il giorno. Alla fine è stato un trauma solo per Elisa che doveva corrermi dietro. Adesso, visto che ho la passione per il rally, mi piacerebbe fare un altro film, in Australia, tutto in macchina. Lo si potrebbe chiamare Fuoristrada 2 - La vendetta". Eppure qualche momento difficile e drammatico c'è stato durante le riprese. "Sì - risponde Elisa Amoruso - è stato il momento della morte del cane di Beatrice. Completamente inaspettato. Lì abbiamo deciso di tenerci a distanza, di non indugiare sul dolore, ma di mostrarlo solo attraverso la voce della veterinaria". E poi, un altro punto su cui si è scelto di non insistere è il rapporto tra Beatrice e sua figlia, avuta da un precedente matrimonio e con cui non è riuscita mai a legare. "Di Katiuscia, la figlia di Pino, abbiamo deciso di far sentire solo la voce e di non farla vedere - continua la Amoruso - perché non mi sembrava giusto mostrarla, visto che tra di loro non si parlavano. Ci sembrava una forzatura". "Però siete andati a parlarle senza dirmi nulla - interviene prontamente Beatrice, rimproverando affettuosamente la sua regista - e io ho l'ho scoperto solo dopo. Devo dire comunque che, sentendo le parole di Katiuscia, ho finalmente capito che il 99% della colpa di quanto era successo era mia. Insomma, adesso grazie al film e anche per colpa di una malattia che ha colpito mia moglie Marianna, ci siamo riavvicinati. Solo che Katiuscia ancora non ha visto il film. E adesso che esce glielo faccio vedere. La voglio proprio accompagnare al cinema e vederlo vicino a lei in sala. Certo, ancora non è completamente idilliaco il nostro rapporto, ma possiamo dire che da uno a dieci siamo a otto".
Una vita difficile, in cerca di una stella
Pino/Beatrice ha avuto molte vite: diversi matrimoni alle spalle, l'esperienza dell'occupazione del Corviale, l'infanzia all'orfanotrofio e altri episodi ancora, "tanto che ci si potrebbe scrivere un romanzo sulla sua vita", dice la Amoruso. E, ovviamente, l'infanzia all'orfanotrofio è qualcosa che ha segnato profondamente l'esperienza di Pino, regalandogli alcune ossessioni anche piacevoli, come ad esempio quelle per i satelliti e le stelle, argomento che nel corso del film viene affrontato spesso, quasi come un leitmotiv. "Quando avevo dieci anni ero in collegio a Salerno, all'orfanotrofio Umberto I, che veniva chiamato 'O serraglio. Lì, purtroppo essendo io romano, subivo tante angherie da parte dei ragazzini napoletani. Per fortuna avevo il letto vicino al finestrone che dava sul golfo di Salerno e la notte, quando mi mettevo a dormire, mi rifugiavo lì e guardavo la luna e le stelle. Sognavo di addormentarmi e di volare su una stella. Da quel giorno, per me, le stelle sono fonte di gioia e di serenità".