La strage dimenticata
A vedere Resolution 819 dopo che ha ricevuto il riconoscimento del pubblico, che gli ha tributato il Marc'Aurelio d'oro alla terza edizione del Festival di Roma, risulta inevitabile che un film che si conclude con un brano orchestrato da Ennio Morricone, giunto imponente dopo una buona ora e mezza in cui ci si è immersi nelle atrocità di una guerra che non ha risparmiato niente e nessuno come quella dell'ex-Jugoslavia, non potesse ricevere stroncature da parte del pubblico pagante, sicuramente più attento allo svolgersi emozionale della storia che non al valore assoluto della pellicola.
L'intreccio dispiegato dal regista Giacomo Battiato, scelto dalla produzione francese come guida del progetto, si articola in tre atti, apertamente sottolineati dalle didascalie che li introducono: testimonianze, fosse comuni, arresti. Il fluire dei capitoli dovrebbe già offrire uno spunto su quella che è in effetti la dilatazione spaziale di una vicenda che ci racconta in modo asciutto e sincopato alcuni anni della vita di Jacques Calvez, brillante commissario della polizia di Nizza offertosi volontario per condurre indagini per conto dell'Onu nella Bosnia dilaniata dalla guerra e dal dolore.
Per destino o per fatalità, il caso in cui incappa Calvez è uno dei più mostruosi di tutto il recente palcoscenico balcanico: la strage di Serebrenica, dove oltre 7.000 uomini bosniaci musulmani persero la vita, trucidati dalla lucida follia del generale Mladic, a capo dell'esercito serbo bosniaco, e a sua volta agli ordini del leader dei serbi di Bosnia, quel Radovan Karadzic che è stato finalmente arrestato qualche anno fa.
Messo in campo da una motivazione etico-civile, l'autore fin da subito si concentra sulla farraginosità e sulla difficoltà di comprensione nella catena di comando che rese inoffensivi i seicento caschi blu che dovevano mettere in pratica la risoluzione 819 delle Nazioni Unite, quella beffardamente ripresa dal titolo e che doveva assicurare l'incolumità dell'enclave musulmana nella Bosnia a maggioranza serba. E Battiato va avanti di questo passo, dipingendo ai limiti del caricaturale il generale serbo bosniaco Mladic, riuscendo d'altra parte a centrare bene la follia nazionalista che era il vero alimento delle atrocità perpetrate ("Allah non può aiutarvi, ma Ratko Mladic si", lo si sente dire nel film, parlando di sè in terza persona), ma anche cedendo al didascalismo del dover per forza mostrare la pattuglia delle truppe internazionali di turno che lascia andare il gerarca stragista per convenienza e ignavia.
Un film strano, complesso, segnato dalla colonna sonora di uno dei più grandi maestri della storia, così come da una regia e una confezione scialbetta e incolore, che disunisce una coerenza ed una solidità di storia, poco incline a voli pindarici, attraverso alcune scelte di regia banali ed enfatiche, e attraverso la scelta di girare un film a tesi, costruito in modo da indirizzare forzatamente lo spettatore ad una (pur giusta) conclusione.
Inevitabile premio del pubblico pagante di un Festival, il film di Battiato è un buon film, con la grave pecca di essere costruito con al primo posto la ragione civile, e non la storia che la veicola.