La splendida avventura di un ragazzo padre
Una certezza la si matura fin dalle prime inquadrature: finalmente un film italiano la cui regia appare originale, condita da quel pizzico di autorialità senza presunzione che senz'altro non guasta nel rendere un film degno di essere guardato.
Mettete dunque insieme un regista capace, ma snobbato dalla critica perchè segnato dal teen-movie Tre metri sopra il cielo, una sceneggiatura globalmente solida e ben bilanciata, una coppia di attori che riescono fin dalle prime battute a trovare un'ottima intesa, condite il tutto con un batuffolino di sette mesi che è il vero centro della scena, e avrete sicuramente non un capolavoro, ma un film gradevole e che si lascia guardare volentieri.
Questo è Solo un padre, del quarantunenne milanese Luca Lucini, film che tratteggia delicatamente l'avventura strana e complessa di un ragazzo padre nell'Italia contemporanea, alle prese con i problemi di tutti i giorni, ma anche con le domande più stringenti che un uomo in carriera, solo, con una bambina a carico, può porre su di sè e sul proprio futuro ("La saprai amare la nostra bambina?", gli chiede a bruciapelo la moglie). Evidente il forte binomio che si crea subito fra mancanza e presenza, fra l'assenza della donna amata e l'ineliminabile, inesorabile presenza di una piccola vita fra le proprie mani, che colora di tinte alterne un film che riesce a mescolare in maniera accorta commedia e dramma, bilanciando sapientemente i caratteri tipici del situazionismo della commedia più leggera (indimenticabili le gustose gag con il gatto Giulio), con il dramma di un uomo che soffre una profonda impermeabilità nei confronti del proprio mondo borghese, che si rinchiude dentro un'apparente e tranquilla routine.
Al di là di una campagna pubblicitaria improntata ad attirare il pubblico tipico della commediola agrodolce all'italiana, il film riesce dunque a svincolarsi da un certo provincialismo tipico delle storie del belpaese, per raccontare quella che potrebbe ben essere una storia qualunque in un qualsiasi posto dell'occidente civilizzato, non guardando unicamente verso il proprio ombelico alla ricerca esasperata di un intimismo sterile, ma ponendosi in modo delicato nei confronti di una traiettoria umana non chiusa, autoreferenziale.
Pur non spostandosi dal filone principale della narrazione, il procedere della storia rivela un'insolita ricchezza di dettagli e di sfumature che impreziosiscono una trama che comunque si rifugia e attinge a piene mani alla tradizione, ad un canovaccio in qualche modo già osservato altre volte, che cade qua e là in un utilizzo eccessivo dei brani letterari (la pellicola è ispirata a Le avventure semiserie di un ragazzo padre, di Nick Earls) che dovrebbero fungere da raccordo ed esplicazione di senso.
Una storia piccola, alla quale però non manca nulla per connotarsi come uno dei prodotti italiani più interessanti di questo scorcio di stagione, che ci regala insieme attimi di spensieratezza e occasioni di riflessione, denotando una evidente maturazione del regista che la firma, che non va in cerca di una facile storia bidimensionale, inserendo svolte - non decisive ma importanti a modo loro - che determinano un cambiamento di sguardo anche nello spettatore che si approccia alla storia.
Alla fine rimane nella retina l'immagine di un uomo spaesato, che, nell'impossibilità di affrontare fin da subito la meravigliosa avventura della paternità vacilla, fino ad abbracciare la piccola bimba dopo aver pianto e a sussurrarle "Sono rimasto solo io a proteggerti. E in fondo, poi, troverò qualcosa da raccontarti..."