Cosa ha in comune La società della neve di J.A. Bayona (titolo internazionale, Society of the Snow - La Sociedad de la Nieve) con la serie Yellowjackets? Un disastro aereo, la sopravvivenza e una storia vera. Sì perché il film, scelto come titolo di chiusura della Mostra del Cinema di Venezia 2023, racconta una terribile vicenda avvenuta nel 1972. Dall'altra parte, la serie targata Showtime, pur distaccandosi totalmente dai fatti, ha avuto come ispirazione il famoso caso del Volo 571 dell'aereonautica militare uruguaiana. Dall'altra parte, l'opera di J.A. Bayona, distribuita da Netflix, riporta alla luce lo schianto dell'aereo sulla Cordigliera delle Ande. Il 13 ottobre 1972, per i sopravvissuti, iniziò un vero e proprio incubo.
Ma andiamo con ordine: il Volo 571 faceva parte di un progetto messo in piedi dalla Fuerza Aérea Uruguaya: dare in affitto, come voli charter, i propri aerei. Il volo in questione, a bordo di un Fokker F27, venne prenotato dalla squadra di rugby degli Old Christianas Club, che dovevano attraversare le Ande per giocare una partita in trasferta, partendo da Santiago del Cile. In cabina c'erano due esperti comandati, nonché piloti militari: Julio César Ferrades e Dante Héctor. A bordo, un totale di 45 persone. Due in meno di quanto calcolato. Il primo problema di volo venne riscontrato in Argentina. C'era nebbia, maltempo. L'aereo scese per sicurezza all'aeroporto di Mendoza, dove i passeggeri passarono la notte. L'indomani il meteo non era migliorato, ma le autorità misero pressione affinché il volto (ufficialmente militare) ripartisse. Verso un incubo.
La storia vera del Volo 571
Così fu: il Volo 571 ripartì, con due rotte a disposizione. Un bivio: una rotta più veloce ma più pericolosa, l'altra più lunga e piena di deviazione che avrebbero permesso al velivolo di superare in teorica sicurezza le Ande, dovevo però volare a minor quota. Venne scelto il percorso più lungo, che prevedeva tra l'altro l'utilizzo del volo strumentale, in quanto le nuvole nascondevano le vette della catena montuosa. Ripartito, il volo procedeva lineare, con un ritardo di appena due minuti sulla rotta Amber 26. Erano da poco passate le 15, e a 18000 piedi l'aereo attraversò il passaggio su Malargue. La visibilità a terra era nulla per via delle nuvole. Da lì, una serie di errori fatali e calcoli sbagliati, e un'incongruenza tra velocità, vento e altitudine che portarono il volo a scendere nella parte sbagliata. L'aereo, mezz'ora dopo le 15, sfiorava le vette delle Ande.
Venezia 2023: La sociedad de la nieve di J.A. Bayona è il film di chiusura della 80ma edizione
I piloti provarono a risollevare il mezzo, ma l'ala destra si spezzo sbattendo contro le rocce. L'aereo era incontrollabile, e la fusoliera si appoggiò - scivolando - sul crinale, bloccandosi in mezzo alla neve. Nel nulla. A 3657 metri di altezza. Da qui, il cuore della storia messa in scena da J.A. Bayona in La società della neve, e solo in parte da Yellowjackets (niente rugbisti ma una squadra di calcio femminile). Allo schianto sopravvissero inizialmente 29 passeggeri. Alcuni erano gravemente feriti, non avevano abbigliamento adatto e la notte la temperatura scendeva a -30 gradi. Si rifugiarono nella fusoliera, i giorni passavano e il cibo scarseggiava.
Vivere o morire
All'inizio, gli sparuti pasti consistevano in scaglie di cioccolata, severamente razionate, intanto che la neve veniva trasformata in acqua. Come estremizzato nella serie Yellowjackets (che poi prende tutt'altra piega), uno dei punti più sconvolgenti della vicenda riguarda la carne umana consumata dai sopravvissuti. Finite le riserve di cibo, si accese una discussione se mangiare o no i cadaveri. Per scelta di sopravvivenza venne consumata carne umana, anche perché le ricerche - stando al segnale di un transistor - sembravano interrotte. Non solo, il 29 ottobre morirono altri otto sopravvissuti, in seguito ad una valanga che sommerse la fusoliera. Rimasti tre giorni bloccati, il nucleo si strutturò sempre di più come una sorta di società - da qui il titolo del film Netflix di Juan Antonio Bayona - agendo per delegazioni e incarichi.
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La tensione, però, era alle stelle: stanchi, frustrati, debilitati, i superstiti del Volo 571 si divisero. Non senza dubbi. Due uomini Fernando Parrado e Roberto Canessa (tutt'ora in vita) si incamminarono verso il Cile, a piedi. Era il 12 dicembre 1972. Due mesi dopo il disastro. Camminando per sette giorni, seguirono il corso d'acqua di un fiume, dove incrociarono un mandriano, chiedendo finalmente aiuto. Parrado e Canessa vennero soccorsi, intanto che due elicotteri Bell UH-1 partivano per portare in salvo i superstiti. Recuperarli non fu facile: impossibile atterrare, vennero tratti in salvo in due momenti separati. Alla fine, e dopo settantatré giorni, il conto dei vivi era di sedici persone. Molti di loro, ancora in vita, sono tornati sul luogo del disastro, divenuto mausoleo di una sconvolgente e drammatica avventura. In chiusura, una curiosità: il disastro delle Ande è già stato portato al cinema due volte: nel 1976 in I sopravvissuti delle Ande, e poi nel 1993 in Alive - Sopravvissuti di Frank Marshall. Ad interpretare Fernando Parrado un giovane Ethan Hawke.