Presentato Fuori concorso al Festival di Venezia 2021, La scuola cattolica è l'adattamento cinematografico dell'omonimo romanzo scritto da Edoardo Albinati e vincitore del Premio Strega nel 2016. Il regista Stefano Mordini cerca di sintetizzare in 106 minuti ben 1294 pagine incentrate su uno dei fatti di cronaca più efferati della storia italiana avvenuto negli anni '70: il massacro del Circeo. Tra il 29 e il 30 settembre del 1975 tre ragazzi della Roma bene, Gianni Guido, Angelo Izzo e Andrea Ghira violentarono e torturarono due ragazze conosciute qualche giorno prima, Donatella Colasanti e Rosaria Lopez, procurando la morte di quest'ultima. Il film di Mordini si pone come obiettivo quello di indagare le ragioni, se così si possono chiamare, dietro tanta violenza, cercando di ricostruire la dicotomia tra il clima di sommosse e fermento di quegli anni e la facciata perbenista di matrice religiosa della scuola privata. Come vedremo nella nostra recensione de La scuola cattolica, però, la pellicola rimane il più delle volte sulla superficie, senza riuscire a far dialogare la Roma degli anni '70 con le traiettorie dei suoi protagonisti, né approfondendo le psicologie alla base di certi comportamenti aberranti. Peccato perché il film può contare su un ottimo cast giovanile, tra cui spiccano Benedetta Porcaroli, Giulio Pranno e il debuttante Luca Vergoni, affiancati dai veterani Riccardo Scamarcio, Jasmine Trinca, Valentina Cervi, Valeria Golino e Fabrizio Gifuni.
Dal romanzo al film
Nelle oltre mille pagine che compongono il suo romanzo, Edoardo Albinati racconta che cosa significhi vivere in un determinato quartiere di una determinata città, in un periodo storico come quello degli anni '70 italiani. L'autore, che nel 1975 era un adolescente romano di buona famiglia, descrive quest'isola di privilegio che era la scuola privata di matrice cattolica, in cui i figli della borghesia romana venivano cresciuti per diventare i dirigenti di domani, lontani dal caos e dal fermento del clima politico dell'epoca. O almeno così pensavano i loro genitori. Da qui prende il via il film diretto da Stefano Mordini, che racconta la vita scolastica in un noto liceo cattolico maschile dove i ragazzi della Roma bene vengono educati secondo i precetti cristiani. Attraverso gli occhi di Edoardo (Emanuele Maria Di Stefano), voce narrante del film, conosciamo alcuni dei suoi compagni di scuola, tra cui troviamo quelli che si renderanno protagonisti degli eventi tristemente noti come il massacro del Circeo. Ma prima che ciò avvenga, entriamo nelle vite di questi ragazzi, nelle loro case, dove troviamo genitori tutt'altro che esemplari: assenti, distratti o inclini all'uso delle mani, convinti di risolvere qualsiasi bravata dei figli con una cospicua donazione.
Il culto del male
Era il 1975 e la violenza era all'ordine del giorno. Non solo in strada ma anche all'interno di quelle mura scolastiche, che avrebbero dovuto fungere da riparo per i ragazzi e che, invece, non hanno fatto altro che alimentare violenza e crudeltà. Dietro la facciata ipocrita e perbenista di matrice cattolica, infatti, viene dato adito a un sistema gerarchico basato sul bullismo, dove l'unica scelta possibile è quella di sopraffare l'altro o di essere sopraffatto. In un momento cruciale della loro crescita, questi giovani si trovano a dover scegliere che tipo di adulti voler diventare. Ma i punti di riferimento si rivelano malati: da un lato abbiamo la figura dell'insegnante, un ruolo che ha perso valore e rispetto agli occhi dei ragazzi, corruttibile, privo di autorità; dall'altro, i padri che trasmettono ai figli un'idea tossica di mascolinità, basata su un senso di superiorità verso gli strati sociali più bassi e verso la figura della donna. Le violenze (fisiche e psicologiche) quotidiane, un'educazione sentimentale inesistente e la facciata di ipocrisia vengono indicati come i possibili fattori scatenanti della crudeltà. In un crescendo di flashback, infatti, la pellicola si pone l'obiettivo di indagare come tre ragazzi dell'alta borghesia romana abbiano potuto trasformarsi nei feroci e implacabili assassini del Circeo.
Assenza di un contesto
Per quanto l'obiettivo di film di sondare le matrici della crudeltà possa dirsi raggiunto, La scuola cattolica dà sempre l'impressione di navigare sulla superficie, lasciando da parte qualsiasi tipo di approfondimento a favore di una volontà ben marcata di arrivare a quel maledetto giorno del massacro del Circeo. Sicuramente portare sullo schermo oltre 1200 pagine di romanzo non è impresa facile, ma la pellicola di Mordini fatica a far dialogare la Roma degli anni '70 con le traiettorie dei suoi protagonisti, privandoci quasi completamente del contesto sociale e decidendo di non affrontare la dimensione politica di quegli anni. Non va meglio quando prova a costruire un reticolato di vicende che coinvolgono i compagni di scuola di Edoardo Albinati e che dovrebbero far da contorno alla narrazione; troviamo, infatti, tantissime parentesi aperte e mai richiuse, un'esagerazione di episodi a sé stanti portati come esempi a favore della tesi del film ma che invece mal si incastrano all'intero dell'impianto narrativo. Quando poi si passa al delitto del Circeo, avvertiamo come uno stacco netto rispetto al modo in cui la pellicola plana sugli eventi mostrati fino a quel momento; la regia si fa insistente e analitica e niente viene risparmiato allo spettatore di quelle lunghe ore di sevizie a abusi perpetrati ai danni di Donatella e Rosaria. Peccato perché il distacco che viene percepito in queste scene cruciali del film si ripercuote sulla buona performance dei suoi giovani interpreti, tra i quali spiccano Benedetta Porcaroli (Donatella Colasanti), Giulio Pranno (Andrea Ghira) e Luca Vergoni, che assomiglia in modo quasi inquietante, nella fisicità e nello sguardo, ad Angelo Izzo.
Conclusioni
Come abbiamo visto nella nostra recensione de La scuola cattolica, il film di Mordini basato sull'omonimo romanzo vincitore del Premio Strega si pone come obiettivo quello di indagare le matrici della crudeltà, i fattori scatenanti che hanno trasformato tre ragazzi della borghesia romana in spietati assassini. Per quanto lo scopo in questo senso possa dirsi raggiunto, la pellicola manca completamente di contesto sociale e politico, rinunciando al dialogo tra la Roma degli anni '70 e le vicende dei suoi protagonisti. Peccato perché il modo in cui in film tende a rimanere sempre sulla superficie vanifica in parte la buona performance del suo giovane cast, tra i quali spiccano Benedetta Porcaroli, Giulio Pranno e Luca Vergoni.
Perché ci piace
- Indaga i fattori scatenanti alla base del massacro del Circeo.
- Buona performance del suo giovane cast.
Cosa non va
- Mancanza di un contesto sociale e politico.