Dopo il film di finzione L'albero, pellicola di chiusura di Cannes63, Julie Bertuccelli torna al suo primo amore: il documentario. La Cour de Babele, tradotto in italiano come Squola di Babele, ha recentemente aperto la quinta edizione del Festival Rendez-vous, rassegna cinematografica il cui obiettivo è far conoscere il meglio della cinematografia contemporanea francese. Una scelta forse dettata dalla stretta attualità che caratterizza il progetto e che descrive da vicino una realtà positiva, solitamente relegata nell'ombra di una cronaca concentrata nel raccontare ben altri aspetti della nostra società, che si concretizza nelle storie dei giovani protagonisti del documentario.
Il titolo, che prende spunto dall'episodio biblico che vede la nascita delle varie lingue parlate nel mondo come punizione divina per la presunzione umana condannata con la separazione e la dispersione verbale, sovverte l'accezione negativa dell'evento per mostrare la diversità, che si essa religiosa, culturale o di provenienza geografica, come fattore di arricchimento e non come sinonimo di paura ed incomprensione.
Un'altra Europa
In un contesto storico dove il diverso è visto con sospetto e circospezione, la Bertuccelli rovescia totalmente il preconcetto, dettato da ignoranza e velato razzismo, per mostrarci la bellezza e il giovamento che passano per il confronto. Per farlo si serve di ventiquattro giovanissimi studenti, tutti tra gli undici e i quindici anni, provenienti da altrettanti Paesi del mondo, giunti in Francia per per le ragioni più disparate. Inseriti in une classe d'accueil, classe d'accoglienza destinata ai giovani immigrati, spesso senza nessuna conoscenza della lingua francese, vi rimangono per un anno o più, prima di essere gradualmente inseriti nelle classi che corrispondono al loro livello linguistico/scolastico.
La regista si muove con delicatezza, quasi in punta di piedi, tra i banchi dell'Istituto Grange-aux-Belles di Parigi, catturando la spontaneità e le paure dei ragazzi con uno sguardo materno e rispettoso, lasciandoli liberi di esprimersi con naturalezza, senza essere filtrati o indirizzati dalle sue domande, aiutata in questo anche dal progetto scolastico che li vedeva alle prese con la realizzazione di un corto destinato ad un concorso di cinema per le scuole e basato proprio sul concetto di differenza, che le ha dato modo di catturare i racconti ma anche gli scontri dettati dal confronto dei suoi protagonisti. C'è chi scappa dalla minaccia neonazista o dal fantasma dell'infibulazione e c'è chi lascia il proprio Paese e i propri affetti per inseguire il sogno di diventare un musicista affermato. La regista si trova difronte una classe variegata dunque, accomunata però dal medesimo senso di spaesamento ed eccitazione per il futuro, che filma senza mai indugiare sugli elementi drammatici o emozionalmente ricattatori della storia, bensì concentrandosi sulla loro vibrante vivacità.
Due generazioni a confronto
Un altro punto a favore del documentario è dato dal confronto, di volta in volta, toccante, divertente, doloroso o tenero tra questi giovani adolescenti, alla cui irrequietezza dettata dall'età si aggiunge lo shock dato dal cambiamento del contesto culturale, con i loro genitori o parenti durante la consegna delle pagelle scolastiche. A mediare tra questi due lati della stessa medaglia l'insegnante della classe che con le sue domande e osservazioni riesce a scavare ancora di più nel solco di vite mortificate e messe a dura prova ma piene di una dignità umana spontanea e vigorosa. Ecco dunque che tra le storie degli studenti fanno capolino quelle degli adulti, anche loro scappati da loro terre, pericolose o semplicemente prive di prospettive, ben consapevoli della grande opportunità data ai loro ragazzi. Tra giovani madri analfabete ma determinate a fare in modo che il futuro dei propri figli sia ben diverso, padri orgogliosi dei buoni voti di bambine già donne e rapporti appena nati tra madri e figlie lontane per un decennio, la regista fotografa un'umanità variegata come le storie personali di ognuno dei protagonisti, mostrando il coraggio timido di chi si batte per ottenere un piccolo spazio nel mondo, non tanto per se stessi, quanto per quei figli che rappresentano il loro riscatto e il loro futuro.
Il confronto come crescita
In SQuola di Babele non mancano poi brevi tensioni tra gli stessi studenti, scaturite dal confronto su temi importanti come la religione. In una classe multietnica come questa, dove mussulmani convivono con cristiani e atei, Julie Bertuccelli filma l'acceso dibattito che anima i giovani studenti, mostrandone le adolescenziali contraddizioni e il bisogno di interrogarsi e mettere in discussione il loro e l'altrui credo. A differenza di La classe - Entre les murs, Palma d'Oro a Cannes 61, il confronto qui è reale - come lo era, in misura minore visto l'ibrido tra fiction e realtà, ne La mia classe di Daniele Gaglianone - così come è straziante il congedo finale al termine dell'anno scolastico, reminiscenza dell'addio alle loro terre d'origine, quando le incomprensioni e le difficoltà si solo lentamente appianate per lasciare spazio ad amicizia e complicità in quello che si è trasformato per loro in un vero e proprio nucleo familiare, grazie anche al lavoro formidabile dell'insegnante chioccia, loro punto di riferimento.
Un documentario potente, intriso di attualità, capace di toccare temi dolorosi con tatto materno, dove la diversità, spesso vista con sospetto, è qui elemento di unione e integrazione. Un arricchimento umano e culturale raccontato attraverso gli occhi vivaci dei giovani studenti protagonisti dell'opera.
Movieplayer.it
4.0/5