A pochi giorni dalla première al Festival di Cannes approda nelle nostre sale Pericle il nero, tratto dell'omonimo romanzo di Giuseppe Ferrandino e diretto da Stefano Mordini.
Se nel libro siamo nella Napoli di inizio anni Novanta e oggi come allora la camorra decide della vita di molti, nel film i personaggi traslocano prima a Belgio e poi in Francia. Il protagonista è Pericle Scalzone (Riccardo Scamarcio), uomo di fiducia del boss Luigino Pizza che per punire chi sgarra, usa una pratica ben poco ortodossa. Pericle Scalzone di mestiere "fa il culo la gente" e non è solo un modo di dire. Lui le sue vittime, giovani, vecchi, donne o uomini che siano, le sodomizza per umiliarle, per "svergognarle" e averle in pugno.
Il suo (sporco) lavoro di routine si complica quando ad intervenire durante una delle sue "operazioni" è Signorinella, sorella di un altro potente boss e latitante di lungo corso. Dopo averla colpita, credendo di averla uccisa, Pericle si dà alla fuga e raggiunge la tranquilla cittadina di Calais in Francia, dove incontra una donna (Marina Foïs) madre di due bambini che lo ospiterà e gli offrirà quel conforto necessario per credere nella possibilità di una vita migliore.
Il cinema necessita di... libertà
Se esiste un solo elemento imprescindibile nella riuscita di un film è la sua sceneggiatura. Pericle il nero nasce da un libro scritto con estrema libertà e con uno stile quasi bohémien che lo rende a tratti spiazzante. Al contrario, Scamarcio & Co. lo trasformano in un racconto meno originale e crudo che, non accontentandosi degli spunti offerti dal libro, cerca di approfondire forzatamente le sotto-trame e il passato del protagonista contravvenendo le regole formali che hanno fanno la fortuna del romanzo. "Il cinema necessita di maggiore precisione rispetto alla letteratura", spiega la sceneggiatrice. Se questo fosse vero un mucchio di grandi registi e le loro carriere non avrebbero ragione di esistere. Ringraziamo comunque le autrici, Francesca Marciano e Valia Santella per tale delucidazione perché ci aiuta a dare un senso agli evidenti limiti del film: dialoghi poco aderenti alla realtà, battute mutuate dal libro e recitate talmente male da risultare inverosimili e una naturale propensione a sottovalutare l'intelligenza del pubblico. Per farla breve: le sceneggiatrici di Pericle il nero privano il film di tutta la bellezza del libro normalizzando il racconto, come dimostra la scarsa empatia che si crea tra spettatore e protagonista. Se a ciò aggiungiamo la regia statica e non particolarmente brillante di Mordini, già autore di film non propriamente riusciti come Acciaio e Provincia meccanica, è difficile trovare parole di encomio.
Leggi anche: Italia criminale: da Gomorra a Suburra, ritratto di un paese sull'orlo del baratro
Il passo falso di un ragazzo d'oro
Nei panni di questo atipico camorrista, ingenuo e al contempo spaventosamente triste e solo, Riccardo Scamarcio non offre una delle sue migliori performance. Se la punta più alta, a livello drammatico, l'aveva toccata in Un ragazzo d'oro di Pupi Avati, qui l'attore pugliese dà come l'impressione non essere particolarmente in sintonia con Pericle con un evidente dislivello tra l'interpretazione della prima (in napoletano) e della seconda parte (in francese) del film.
Se da interprete ci sarebbe più di qualche appunto da fargli, è da produttore che Riccardo Scamarcio demerita di più. Ok, il film è stato selezionato per l'Un Certain Regard ma questo traguardo non è sempre un indizio di qualità. Anche i grandi sbagliano, anche a Cannes abbiamo visto film da dimenticare. Pericle non è uno di questi ma sono le scelte a determinarne la mancata riuscita. Se Scamarcio fosse stato più stato più obiettivo allora avrebbe affidato il ruolo di Pericle ad un altro attore, e non solo per la sua scarsa capacità di recitare in dialetto napoletano. Nel film mancano i brividi, la tensione e abbondano le risate involontarie. Se invece di banalizzare il rapporto tra Pericle e Anastasia le sceneggiatrici avessero scelto di seguire la via tracciata da Ferrandino allora il pubblico avrebbe potuto capire il vero spirito del libro e la speranza di una coppia che si unisce più per solitudine e disperazione che per motivi romantici. Senza nulla togliere alle buone intenzioni dei produttori, da un libro così poco moralista era lecito aspettarsi un film capace di sfidare le convenzioni in modo altrettanto dirompente.
Movieplayer.it
2.5/5