Un flop senza precedenti, il peggiore della carriera di Adam Sandler. E non solo per la critica d'oltreoceano che lo ha letteralmente massacrato - per il Telegraph è "il punto più basso della carriera dell'attore spesso deriso", Vulture lo apostrofa come "terribile, persino per un film di Adam Sandler"- ; in patria Mr. Cobbler e la bottega magica è stato punito anche dal pubblico, se si pensa che nelle sale statunitensi il film durante il primo weekend di programmazione, il 13 marzo del 2015, si è fermato a 24 mila dollari.
Non è andata meglio nel resto del mondo dove si è dovuto accontentare di 852,464 dollari, e le sorti non saranno probabilmente migliori per l'uscita italiana del film che arriva quasi un anno e mezzo dopo il debutto americano, portandosi dietro un biglietto da visita che non fa ben sperare e per di più in una delle stagioni, quella estiva, che come da copione batte la fiacca.
Ma non poteva essere diverso il destino di un film dal livello decisamente mediocre, incapace di risollevare la china discendente di Sandler, segnata negli ultimi anni da una serie di scelte sciagurate.
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Un flop... da Oscar
Sorprende inoltre che complice di un tale disastro sia quel Thomas McCarthy appena qualche mese fa trionfatore agli Oscar con il monumentale Il caso Spotlight (Miglior film e Migliore sceneggiatura); è lui infatti il regista di Mr. Cobbler e la bottega magica, realizzato un anno prima del film che gli avrebbe regalato la consacrazione davanti all'Academy. Difficile guardare questa storia e pensare che dietro ci sia la stessa mano e soprattutto la stessa sensibilità di chi nel 2007 firmava quel piccolo capolavoro de L'ospite inatteso. Le intenzioni sembrano delle migliori almeno stando alle prime battute del film, a partire dal piccolo prologo iniziale che catapulta lo spettatore indietro di qualche generazione alle origini della storia che di lì a poco vedrà snocciolarsi davanti.
Una bottega 'senza qualità'
Max Simkin (Adam Sandler) è un calzolaio, come lo è stato suo padre (Dustin Hoffman) scomparso misteriosamente e prima di lui suo nonno, vive con la madre e porta avanti senza particolari entusiasmi la bottega di famiglia nel brulicante Lower East Side newyorchese. A dettare il ritmo delle giornate è la riparazione senza sosta delle scarpe degli stravaganti abitanti del suo quartiere, centinaia di calzature ognuna portatrice di una storia, un mondo, una vita. Che Max avrà la fortuna o sfortuna di conoscere molto da vicino quando il caso gli farà ritrovare una vecchia macchina da cucire, che gli consentirà di mettersi nei panni dei suoi clienti.
Da quel momento gli basterà indossare le loro scarpe per assumerne l'identità e perdere ben presto il controllo trasformazione dopo trasformazione.
Il film di McCarthy vorrebbe essere una favola sulla famiglia, ma la dimensione del realismo magico a cui lascia pensare un soggetto dalle infinite potenzialità viene polverizzata dal tentativo maldestro di barcamenarsi tra diversi toni: dal filone dell'uomo senza qualità (Max) apatico e disilluso dalla vita, alla commedia grottesca, alla svolta thriller, alla comicità demenziale non senza esser passati dal dramma sociale e da un patetico sentimentalismo.
Il frutto è un mix confuso e pasticciato per nulla funzionale all'avanzamento narrativo e assolutamente incapace di evocare qualsiasi forma di emozione o coinvolgimento. La metafora del 'mettersi nei panni di qualcun altro' si schianta contro una sceneggiatura che non riesce a dare una direzione al film e che zittisce ogni buon proposito di originalità. Quel che ne rimane è una bottega vuota più che magica, dei personaggi senza spessore - non basta che ci siano nomi eccellenti come Steve Buscemi, Ellen Barkin e Dustin Hoffman - a partire dal protagonista imprigionato per un'ora e mezza nel volto appeso e inespressivo del ciabattino Sandler.
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2.0/5