Un biopic sul Papa attuale: era implicito che un'operazione del genere portasse con sé uno strascico di sbeffeggi e accuse di aver aderito agiograficamente alla parte di Storia che descrive Jorge Bergoglio come coraggioso difensore dei perseguitati dal regime di Videla. Lo stesso Daniele Luchetti ha dichiarato che per raccontare una storia (con la "s" minuscola) bisogna stare dalla parte del personaggio, e così ha fatto. Senza inciampare nel pericolo "santino" che lui stesso paventava, ma umanizzando una figura che già appare profondamente umana, e raccontando, secondo le versioni che ha deciso di ascoltare, come la sua vita si sia intrecciata alle drammatiche vicissitudini del suo paese.
Due volti per un solo Papa
Rodrigo de la Serna e Sergio Hernández: il primo lo ricordiamo soprattutto per aver prestato il volto ad Alberto Granado ne I diari della motocicletta, il secondo per aver interpretato l'anziano in bilico fra paure e ansia di vita in Gloria. Due attori incredibili, accomunati da un'espressione e un sorriso familiari e accoglienti, che vestono i panni di Jorge Bergoglio in periodi della vita diversi: de la Serna dai venticinque ai sessant'anni e Hernández poco prima e subito dopo l'elezione a Papa, colorita da quella meravigliosa risata incredula di chi ne ha vissute tante e non si aspettava addirittura questa.
Jorge infatti era un ragazzo comune, con un gruppo di amici peronisti, una squadra del cuore e una ragazza che non vede l'ora, in una gita al museo, di allontanarsi con lui per farsi baciare. Durante un ballo, che riassume con delicatezza una storia di cui forse avremmo voluto sapere di più, Jorge le conferma la sua vocazione, che lo porterà a entrare giovanissimo nell'ordine dei Gesuiti. Ma l'atmosfera cambia a breve: la dittatura militare di Videla comincia a perseguitare, a far "scomparire", e quando Jorge diventa Padre Provinciale dei Gesuiti per l'Argentina si trova a dover compiere delle scelte. Apprende impotente della morte di alcuni preti suoi amici, decide di nascondere chi ha bisogno di protezione, invita alla cautela chi forse ha più coraggio di lui, si adira, si accascia piangendo, viene allontanato in un imprecisato esilio ("il mio ufficio è tra i maiali", dichiara con souplesse), più avanti da vescovo ausiliare ferma le ruspe che stanno per abbattere una favela.
Piglio autoriale e personaggi femminili
E mentre si svolge il conclave dove il suo nome ripetuto più volte chiarisce quale sarà la sua carica successiva, Jorge ripensa ai visi segnati dei più deboli durante una messa, in un potente montaggio alternato che intreccia passato e presente, povertà e sfarzo, e che si accosta per forza d'immagini ad altre scene da cui emerge il piglio autoriale di Luchetti. Come quell'inseguimento struggente per strada di un'amica di Jorge, forse: in un momento storico in cui alligna ovunque la diffidenza e le persone scomparse sono sempre di più. O la visuale offuscata di chi sta per essere torturato, mentre le note di una canzone d'amore rendono ancora più amaro il presente. Il ritorno a casa di una desaparecida, barcollante per le ferite e accolta sull'uscio dalla madre commossa. O la terribile scena di notte in cui i militanti sequestrati, dormienti, vengono gettati via da un aereo come inutili reti da pesca.
Del film su Papa Francesco ciò che conquista sono immagini come queste, e quei personaggi femminili anticonvenzionali cui Jorge si era legato negli anni e che invece il potere combatteva, come la professoressa di chimica Esther Ballestrino (Mercedes Morán) e il giudice Alicia Oliveira, mamma di figli avuti da un uomo ancora sposato e interpretata magistralmente da Muriel Santa Ana. Perché Chiamatemi Francesco - Il Papa della gente è, ancor prima che un biopic sul personaggio più in vista dell'attualità, un film diretto con grazia dove per ogni ruolo è stato scelto l'attore più adatto, e il risultato ‒ a prescindere dall'ideologia ‒ è di grande verità.
Movieplayer.it
3.0/5