Ben-Hur: la Storia corre sulle bighe

Timur Bekmambetov riporta in sala il remake del kolossal biblico di William Wyler, confermando purtroppo tutti i timori della vigilia.

Fu nel lontano 1959 che Hollywood misurò la propria potenza. Consegnando agli occhi del mondo l'idea di kolossal cinematografico, servito da scenari grandiosi e attinto da un'epica paracristologica non più attuale nei blockbuster tecnologici odierni. Dalla grandezza imperiale di Roma alle sfide mortali nell'arena, dalle corse sulle bighe ad una narrazione magniloquente: la storia del cinema fu scritta e coronata da ben 11 premi Oscar (record pareggiato solo decenni più tardi da Titanic e Il signore degli anelli - Il ritorno del re), con un impiego di mezzi monumentale per l'epoca. Facendo del film diretto da William Wyler e interpretato da Charlton Heston il manifesto ideale del classico biblico. Una commistione inseparabile tra spirito religioso e immaginario collettivo.

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Ben-Hur: Morgan Freeman e Jack Huston in un momento del film
Ben-Hur: Morgan Freeman e Jack Huston in un momento del film

A circa 57 anni dal terzo dei suoi cinque adattamenti su grande schermo, in un'industria ormai anestetizzata dagli effetti speciali ma che reclama a gran voce Marvel e DC, ecco l'ennesimo remake sfuggire a ogni logica o necessità d'esistere. Perché Ben-Hur si rivela tanto un goffo tentativo di 'ammodernamento' quanto un peplum fuori tempo massimo. Un film senz'anima e cuore quello diretto da Timur Bekmambetov, eclettico cineasta kazako già prestato alle major americane grazie all'action Wanted - Scegli il tuo destino e all'horror-fantasy La leggenda del cacciatore di vampiri. Anche qui fedele al suo stile iperbolico, o vuoi 'irrispettoso', nei confronti del celeberrimo predecessore; come incapace di costruire dalle fondamenta un'ambientazione solida fra scene d'azione e gli imprevedibili micro-climax del testo originale (scritto da Lew Wallace nel 1880), la cui parziale riproposizione fatica a tenere desta l'attenzione. Insomma, da qualunque prospettiva la si osservi, ciò che traspare è un marcato virtuosismo circense che ricorda fin troppo Il gladiatore: dove ogni passaggio sembra privo di coraggio, e al contrario, dove ogni tratteggio psicologico si perde mescolato a registri, generi e ai rumorosi toni.

Ben-Hur: Jack Huston in un momento del film
Ben-Hur: Jack Huston in un momento del film

Giudea, primo secolo dopo Cristo. In una Gerusalemme vessata e controllata dall'Impero Romano, Giuda Ben Hur (Jack Huston) è un nobile giudeo cresciuto insieme al fratello adottivo Messala (Toby Kebbell). Gli anni passano ma la situazione in tutto il Paese è sempre più tesa: in città arriva il console Ponzio Pilato (Pilou Asbæk), con tutta l'intenzione di sedare le rivolte. Proprio durante la sua parata militare viene compiuto un attentato, che sarà ingiustamente imputato a Giuda: con la famiglia trucidata, il principe giudeo è condannato a una vita di schiavitù come vogatore di una galea. Intanto Massala diventa centurione, fino a quando il nuovo capitolare degli eventi non porterà i due fratelli l'uno contro l'altro. Per battersi, una volta per tutte, sul campo da gioco e vincere la mortale corsa delle quadrighe.

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Quando il ricalco è pericolante

Ben-Hur: Pilou Asbaek in una scena del film
Ben-Hur: Pilou Asbaek in una scena del film

Certo, non basta il coraggio e una notevole dose di spregiudicatezza per scomodare i fasti della Hollywood faraonica; come evidenti sono una serie tale di incongruità e sviste irritanti da peggiorare la situazione in termini di sfida al Mito o di interesse generale. Purtroppo Ben-Hur dimostra tutta la sua fragilissima discontinuità lungo un ridimensionamento dal profilo basso: l'omaggio inadeguato ai tempi, lo stereotipo dell'eroe moderno (azzerato di qualsiasi personalità), il ricalco videoludico che prende il comando/joystick della gara e un momento dopo sfracella su se stesso. Insidie pericolanti che lo script di Keith R. Clarke e John Ridley non argina con l'escamotage, bensì le aggrava fino a sgretolarne ogni corrispettivo visivo.

Ben-Hur: Morgan Freeman in una scena del film
Ben-Hur: Morgan Freeman in una scena del film

È una rilettura che dunque resta a livello meramente teorico, perché tanto monodimensionale da risultare involontariamente comica. Condensata dentro una frenesia 'sintetica', da soap opera stritolata sugli eccessi del montaggio (due ore per un film che ne durava quasi quattro), ma decisamente stridente col passo e il respiro richiesti dalla storia. Ambisce ad una tensione esasperante Bekmambetov, oltre che mettere in scena l'insaziabile avidità di un Impero Romano come violento meccanismo di morte e potere. Fortemente ossessionato nel dare nuovo look al classico che salvò la MGM dal fallimento, fino a sorvolare sulle velleità politiche e disunirne la coerenza dell'insieme. Mai conscio che, sotto la superficie, a mancare sia l'unico sacro graal del racconto: le motivazioni che muovono i suoi attori, o ancora, i sentimenti a volte contrastanti che li attraversano.

Ben-Hur: una scena d'azione del film con protagonista Jack Huston
Ben-Hur: una scena d'azione del film con protagonista Jack Huston

Il vuoto azzera l'occhio

Ri-assemblaggio di un materiale abbondantemente noto, Ben-Hur tenta lo stesso la strada battuta in Cgi, azzeccando almeno un paio di sequenze madri. Come il combattimento in mare sulla galea speronata dalle navi nemiche, registicamente claustrofobico ed immersivo. Nondimeno la celebre corsa delle bighe finisce con l'appagare l'occhio, che per senso dello splatter si traduce in uno spettacolo decadente e 'incattivito'. A deludere, semmai, è la parabola del Cristo redentore (col volto poco espressivo di Rodrigo Santoro): sempre delegato fuori cornice, sempre più inutile orpello narrativo. Figlio anch'esso di un remake tradito, inciampato sonoramente dentro un vuoto di armature e lustrini.

Movieplayer.it

2.0/5