La macchinazione: un thriller con aspirazioni da cinema civile tradite da poca audacia

David Grieco porta sul grande schermo il suo omonimo romanzo dedicato agli ultimi mesi di vita di Pier Paolo Pasolini per mostrare una verità diversa da quella giudiziaria sull'omicidio di uno dei più importanti intellettuali del XX secolo

"Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi". Chiudeva così Pier Paolo Pasolini il suo celebre articolo del 14 novembre 1974 pubblicato sulle pagine Corriera della Sera. David Grieco, amico ed ex collaboratore del regista sui suoi set cinematografici, nella doppia veste di attore ed assistente, sembra muoversi su un terreno simile a quello dell'artista, ricostruendo, secondo elementi raccolti già all'indomani del ritrovamento del corpo senza vita di Pasolini, le prove sulla verità che da oltre quarant'anni avvolge la morte dell'intellettuale friulano. Ipotizzando ne La macchinazione le reali motivazioni celate dietro il suo omicidio, ben lontane dalla verità giudiziaria che ha condannato come unico colpevole l'allora minorenne "ragazzo di vita" Pino Pelosi, il regista, tratteggia le figure dei protagonisti di un potere politico/criminale/massonico che ha dato vita a quella "macchinazione" studiata nei minimi particolari scaturita nel tragico epilogo consumato su un campetto di calcio all'Idroscalo di Ostia nella notte tra il primo e il due novembre 1975.

La macchinazione: Massimo Ranieri in un'immagine tratta dal film
La macchinazione: Massimo Ranieri in un'immagine tratta dal film

Un omicidio che a distanza di quattro decenni continua a far discutere e a lasciare insoluti svariati aspetti fondamentali che Grieco cerca di colmare nel suo film dal retrogusto di thriller (e di inchiesta giornalistica), nel quale prova ad assemblare i vari tasselli mancanti della storia. Lacune che tenta di cancellare provando a riportare nella sceneggiatura scritta insieme a Guido Bulla, non solo le trame oscure che mossero le mani omicida di quella notte di novembre ma anche la complessità del pensiero pasoliniano, contemporaneamente appassionato, contraddittorio, lungimirante e pessimista quando guardava alla sua Italia.

La macchinazione: Massimo Ranieri e Roberto Citran in una scena del film
La macchinazione: Massimo Ranieri e Roberto Citran in una scena del film

Per farlo Grieco divide idealmente il film in due filoni narrativi legati tra di loro proprio dalla figura di Pasolini. Da una parte troviamo "il dietro le quinte" dell'omicidio, mostrando le concussioni del trittico dei poteri coinvolti che dalle borgate romane e dai loro piccoli criminali arriva fino alla loggia P2 passando per le stanze di quel potere che dovrebbe rappresentare la legalità, e dall'altra la quotidianità di Pasolini, divisa tra la stesura di Petrolio e la sua frequentazione con Pelosi. E proprio il rapporto tra i due - insieme a quello dello scrittore con la madre Susanna, interpretata da una sempre intensa Milena Vukotic - viene approfondito per riportare un privato inedito dell'uomo ancora oggi trasfigurato dal solo pettegolezzo.

Salò o le 120 giornate di Sodoma

La macchinazione: Massimo Ranieri e Roberto Citran in una scena del film
La macchinazione: Massimo Ranieri e Roberto Citran in una scena del film

Ne La Macchinazione, fondamentali per il compimento del disegno omicida ai danni dello scrittore, risultano essere per il regista proprio due opere di Pasolini: il suo ultimo film, Salò o le 120 giornate di Sodoma, e il romanzo incompiuto: Petrolio. La pellicola, presentata postuma e al centro di forti critiche per il suo contenuto, è il motore che mette in moto la macchinazione che dà il titolo al film. Grieco suggerisce come il furto delle pizze dalle sede della Technicolor ed il relativo riscatto siano l'ingannevole espediente con il quale Pasolini venne attirato, sulla sua Alfa Romeo GT 2000, all'Idroscalo e dove trovò la morte per mano di esponenti della piccola criminalità romana a loro volta legati alla Banda della Magliana. Una tesi, quella di Grieco, che trova riscontro nei cinque DNA mai identificati e ritrovati sul luogo del delitto e che mostra il lavoro di documentazione fatto dal regista, uno dei primi ad accorrere su quel campetto del litorale romano una volta appresa la morte dell'amico/collega e da sempre impegnato in prima linea per far riaffiorare una verità ancora oggi osteggiata.

La macchinazione: Libero De Rienzo e Matteo Taranto in una scena del film
La macchinazione: Libero De Rienzo e Matteo Taranto in una scena del film

Ma se le intenzioni di Grieco sono più che nobili, il film, soffre della presenza di troppe parentesi narrative aperte e di altrettanti personaggi ipotizzati come protagonisti della congiura omicida che rimangono sospesi, portando non tanto ad una confusione nell'esposizione visiva dei fatti quanto ad un'incompiutezza che fa apparire il lavoro del regista trattenuto, frenato dalla sua stessa sceneggiatura, mancando di quell'audacia necessaria per indignare o denunciare. A giocare a sfavore del film anche l'uso di scelte registiche che stonano tra di loro - dall'uso del negativo per introdurre varie sequenze fino all'esasperazione della figura del Pasolini anticipatore racchiusa nella "visione" di un futuro 2.0 che ha il sapore dell'eccesso - lasciando nello spettatore un senso di straniamento.

Petrolio

La macchinazione: Massimo Ranieri in un'immagine dall'alto del film
La macchinazione: Massimo Ranieri in un'immagine dall'alto del film

Causa scatenante del piano per uccidere lo scrittore è, secondo Grieco, proprio la stesura di quello che rimarrà il romanzo incompiuto dell'artista: Petrolio. Lo scritto che impegnò Pasolini dal 1972 fino alla morte con il quale l'intellettuale ricostruiva i fittissimi intrecci della corruzione politica italiana attraverso la storia del suo protagonista, l'ingegnere torinese Carlo, scisso in una doppia e contraddittoria personalità, nella quale denuncerà il sinistro operato di Eugenio Cefis, presidente Montedison e creatore della loggia massonica P2 - del quale ipotizzerà il coinvolgimento nella morte dell'allora presidente ENI, Enrico Mattei - trasfigurandolo nel personaggio di finzione Aldo Troya. Proprio le sue indagini e le sue accuse sarebbero il movente dietro il quale cercare le risposte rimaste insolute su quello che ancora oggi è uno dei tanti misteri italiani e che, se visto in quest'ottica, si andrebbe ad inserire in quella strategia della tensione che ha caratterizzato i cosiddetti anni di piombo in Italia. Il complotto ai danni di Pasolini non viene però sufficientemente contestualizzato dal regista che sembra più focalizzato nel ricostruire l'estetica degli anni '70 quanto a riportarne le contrastanti atmosfere politiche. Nonostante le ottime interpretazioni dell'esordiente Alessandro Sardelli (specie nella scena finale dell'interrogatorio) nei panni di un Pino Pelosi che sembra una vera creatura pasoliniana o di Matteo Taranto nel ruolo di Sergio, tramite tra la bassa e alta criminalità romana, fino all'incredibile somiglianza di Massimo Ranieri nel ruolo dell'artista friulano, la cui prova sembra in parte restare troppo riflessiva, La Macchinazione, non trova il giusto equilibrio narrativo e registico in una pellicola che appare incompiuta proprio come il romanzo di Pasolini.

Movieplayer.it

2.5/5