La realtà dell'immaginazione
Con Buongiorno, notte, ultima sua fatica presentata in concorso a Venezia, Marco Bellocchio affronta uno dei più luttuosi eventi della recente storia italiana, il rapimento e l'uccisione di Aldo Moro. Il regista non cerca una visione alternativa a una realtà messa in discussione da prove e documenti venuti alla luce nel corso degli anni, ma si attiene alla versione ufficiale. Questo perchè Bellocchio non è particolarmente interessato a fare del cinema-verità, a creare un documentario, quanto a mettere su pellicola le sue opinioni sul fenomeno delle Brigate rosse e sul terrorismo in generale. E lo fa mostrandoci tutto attraverso gli occhi di Chiara, uno dei sequestratori. Il risultato è come sempre un film molto soggettivo, a tratti surreale.
Seguiamo così i mutamenti di coscienza della ragazza, il suo essere all'interno di un gruppo ma fuori dal mondo che deve comunque frequentare. Colpisce infatti che Chiara, per raggiungere il fine di abbattere le istituzioni dello Stato, sia costretta a non poter esprimere il suo vero pensiero, a essere reclusa a sua volta, non in una stanza segreta come il suo prigioniero, ma all'interno di sè stessa.
Bellocchio tratteggia i 4 brigatisti con un tratto leggero che non è fisso, ma in evoluzione. Per il regista sono come bambini impegnati in un gioco troppo grande. E come bambini si comportano; perchè i bambini si addormentano sul divano e vengono portati di peso a dormire, perchè i bambini si preoccupano dei canarini, che il gatto non li mangi, perchè i bambini spenzolano i piedi da sedie troppo alte. E soprattutto i bambini non possono non spiare i grandi dal buco della serrature, per essere sicuri che ci siano sempre, pronti a difenderli. L'adulto in questo caso è proprio Moro (un commovente Roberto Herlitzka, superbo nell'interpretazione di un uomo rassegnato, ma non soggiogato dalla sua situazione), che discute, scrive e si pone di fronte a loro non come un simbolo, ma come un semplice uomo.
E quando il gioco diventa troppo grande per giocare, i bambini non crescono, ma si affidano ai loro dogmi. Chiudono il cervello per non dover affrontare la responsabilità dei loro comportamenti, appoggiandosi al loro credo politico.
Solo per Chiara non è così. Bellocchio non ci propina la solita presa di coscienza graduale, ma ci colpisce dritto allo stomaco (e anche al cuore) con un colpo di scena inatteso, che taglia e fa male. Il suo punto di vista sulla stupidità degli estremismi è chiaro e Bellocchio non si vergogna di esprimerlo con forza. Tanto da ritenere necessario sottolinearlo ancora; durante il corso della pellicola infatti spunta fuori a più riprese una sceneggiatura, scritta da un collega di Chiara e vertente proprio sul rapimento Moro. Titolo: Buongiorno, notte. Ma non si tratta solo di un gioco meta-cinematografico; il collega non è che un alter-ego del regista stesso, un grillo parlante che cerca di far riflettere Chiara e di farle prendere coscienza del fatto che la realtà e i sogni non possono essere divisi, che ci vuole speranza e coraggio per vivere e che non si può soltanto esistere come vuoti automi. Convinzione che prende corpo in numerose scene oniriche e fortemente simboliche.
Il risultato è un film forte, stratificato ma non noioso, in cui la visione del regista è ben chiara e le prese di posizione sono effettuate con coraggio. In sostanza un gran film, accurato nella ricostruzione dei tempi e dei luoghi (vedere tutti i filmati televisivi dell'epoca), caratterizzato dall'ottima recitazione degli interpreti (plauso a Maya Sansa e Luigi Lo Cascio, con due personaggi agli antipodi rispetto a La meglio gioventù) e da una colonna sonora di fortissimo impatto.