La partita della vita
Chi pensa a cinema&pallone non può assolutamente non pensare a Febbre a 90°, film risalente ormai a 10 anni fa, che vedeva uno scatenato Colin Firth alle prese con la sua squadra del cuore, l'Arsenal, e con i consueti "piccoli problemi di cuore".
Speculare alla goliardia sana del film tratto dalle pagine di Nick Hornby, passando per Hooligans - Teppisti dell'inglese Philip Davis, e per il nostrano Ultrà, con Claudio Amendola, troviamo questa nuova pellicola sul mondo dei tifosi/teppisti, chiamata semplicemente Hooligans, e diretta da Lexi Alexander, alla sua opera seconda.
Alexander, già avvezzo al mondo dello sport - sulla boxe il suo primo film - orchestra, come nel film del '96, una vicenda che ruota totalmente intorno ad un campo da calcio, ma che lo esclude (quasi) totalmente dalla vista dello spettatore.
Si vive per il calcio, si soffre per il calcio, si muore per il calcio. Tutta una vita ossessivamente incentrata sul rettangolo di gioco, sulla partita del sabato pomeriggio, e tutto un film calibrato per le strade, per i pub, veri luoghi in cui si vive passionalmente il football.
L'elisione più totale del prato verde dallo schermo , è il baricentro sul quale ruota tutta la pellicola. E' il racconto di un grappolo di giovani vite che appendono il loro destino e tutta la propria aspettativa sull'avvenire a qualcosa che non c'è, che non esiste, che non consisterà mai in nulla di veramente tangibile. Ed è proprio il tragico finale, la partita della vita, con la V maiuscola, a riappropriarsi beffardamente del campo verde,sul quale cadere, al quale lasciare definitivamente tutto ciò che si possiede.
La dicotomia tra una vita vissuta di solide illusioni (quella dei ragazzi della curva), e una costellata di effimere certezze (un Elijah Wood "yankee" espulso ingiustamente da Harvard) alimenta il film, e lo nutre di una contrapposizione che finisce in amicizia, in condivisione.
Ma se la vita di un hooligans, di un ultrà si direbbe nel belpaese, non può che essere orgogliosamente inutile, la sua morte diventa il (forse immotivato) sacrificio per ciò che, in fondo, si rivela quel che sta più a cuore: non la squadra, non la partita, ma i propri affetti, quei legami per i quali sei disposto, sinceramente, a dare tutto.
Stupisce un poco la sequenza finale, l'epilogo, che sembra quasi un inno ad una "vita da duri" un po' immotivata, una volta superato felicemente l'apprendistato curvaiolo.
Ma si può benissimo chiudere idealmente la pellicola prima, una pellicola che va sicuramente oltre quel che dal titolo e dalla confezione ci si aspetterebbe.
Sicuramente zeppo di ingenuità nei suoi snodi narrativi, Hooligans è però un film sincero, non costruito su una finzione autoriale, ma veramente interessato al racconto di un'umanità che emerge prepotentemente dalle pieghe della narrazione. Presentato come un film lineare, è sicuramente più sottile e complesso di quel che potrebbe sembrare ad un primo sguardo, presentando una serie di riferimenti metatestuali di sicuro interesse.
Non un capolavoro, dunque, ma al di sopra dell'assoluta mediocrità che regna in sala di questi tempi.