"Fate tesoro della nostra sofferenza, del nostro dolore, dei nostri errori, delle nostre sconfitte", diceva Bartolomeo Vanzetti, prima di venire ucciso sulla sedia elettrica insieme a Nicola Sacco, nel 1927: la loro unica colpa era quella di essere italiani, anarchici e di trovarsi in America nel momento sbagliato. Quasi cinquant'anni dopo il regista Giuliano Montaldo ha voluto raccontare la loro storia, assurta a simbolo di ingiustizia e intolleranza. E il suo film, oltre a essere un capolavoro, ha scosso le coscienze, ha fatto affluire fiumi di giovani in tutte le sale, ha dato l'avvio a un comitato di riabilitazione di Sacco e Vanzetti, e finalmente alla proclamazione della loro innocenza. Si può ben dire, quindi, che Sacco e Vanzetti sia più di un film, e che abbia a suo modo cambiato la Storia.
In occasione del suo restauro, Silvia Giulietti e Giotto Barbieri hanno realizzato un documentario, La morte legale, ripercorrendo non solo la faticosissima gestazione del film di Montaldo, ma inevitabilmente anche la storia dei due italiani, che nel nostro immaginario avranno sempre il cipiglio severo e carismatico di Gian Maria Volonté e lo sguardo più mansueto e spaurito di Riccardo Cucciolla.
Per ricordare sempre le ingiustizie
Nel documentario s'intrecciano le interviste al regista, che ricorda i vari passi della realizzazione del film con la sua ironia a tratti commossa, e le interviste a Vera Pescarolo Montaldo (moglie e collaboratrice di Giuliano), al compositore Ennio Morricone, all'attrice Rosanna Fratello, allo storico Lorenzo Tibaldo, al critico cinematografico Mario Sesti, allo studioso Luigi Botta. Una pluralità di voci che descrivono Sacco e Vanzetti da un punto di vista emotivo, artistico e storico, e che si mescolano alle numerose foto di scena del film, ai moderni disegni di Remo Fuiano e ai vecchi filmati dell'Istituto Luce. Arti diverse concorrono tutte insieme per ricordare cosa muovesse Montaldo nel suo progetto: quel bisogno di denunciare l'intolleranza, e di far conoscere al mondo una storia che in moltissimi ignoravano, lui per primo solo pochi anni prima. Fu uno spettacolo in un teatrino di Genova a informarlo fortuitamente della vicenda; alcune persone, come ricorda ridendo, pensavano che Sacco e Vanzetti rappresentassero una ditta di import/export. E racconta come il suo film piano piano prese vita, grazie a un cast indimenticabile e a professionisti eccelsi che credevano nel progetto.
Come Ennio Morricone, che gli disse: "Ci vorrebbe una ballata cantata da Joan Baez", meravigliosa cantautrice, simbolo della non violenza. E come la stessa Baez, che Montaldo poi incontrò quasi per caso a una cena a New York, e che accettò subito entusiasta. Non era un'impresa facile: per usare le parole di Mario Sesti, si trattava di "sfidare gli americani in una storia americana". Ma Montaldo, con la sua sorridente perseveranza, ci riuscì. Quando venne proclamata la riabilitazione di Sacco e Vanzetti, venne abbracciato da un signore, che dopo scoprì essere il nipote di Sacco. "Non ce l'ho fatta a trattenere le lacrime", racconta di nuovo commosso alla macchina da presa. E noi ci commuoviamo insieme a lui per come il nostro amato cinema abbia reso giustizia a due innocenti giustiziati, e abbia riconsegnato a tutto il mondo la verità.
Leggi anche: Ennio Morricone: 10 colonne sonore capolavoro del grande maestro
La genesi del documentario e i ricordi di Montaldo
All'incontro che segue l'anteprima di La morte legale, i due registi raccontano come sia nato il loro progetto. Giotto Barbieri dapprima spiega come il restauro di 'Sacco e Vanzetti' abbia rappresentato per loro l'occasione per realizzare questo documentario. "Negli anni Settanta il film è riuscito a smuovere l'opinione pubblica, dato che perfino in Italia si era molto disinformati su questa vicenda. Noi abbiamo voluto creare una sorta di percorso narrativo che riuscisse a integrare tutto, collegando la storia di Sacco e Vanzetti degli anni Venti al film degli anni Settanta, a oggi".
Silvia Giulietti aggiunge: "Io lavoro nel cinema da quando indossavo i calzettoni, e ho avuto la fortuna di fare con Giuliano due-tre film. Quindi il mio sguardo sui documentari si pone sempre dietro la macchina da presa; la curiosità che condivido con molti giovani e molti studenti è quella di capire cosa si nasconda dietro un film. Quindi io, personalmente, avevo la necessità e il desiderio di far capire a chiunque come questo capolavoro di Montaldo abbia preso vita, anche per quanto riguarda gli aspetti tecnici, dato che io sono una tecnica. È stato possibile anche grazie all'archivio Enrico Appetito, questo archivio straordinario del cinema italiano, che ci ha consentito di reperire le foto del film: avevamo un materiale infinito e scegliere le foto è stato molto difficile; abbiamo quindi cercato di dare una coerenza. Ringrazio anche la Libera Università del Cinema, perché è stato un lavoro che ha coinvolto dall'archivio agli studenti, e Giuliano è stato il nostro maestro d'orchestra".
Quando gli viene chiesto cosa si provi nel vedere ancora tanto entusiasmo per il suo film, Giuliano Montaldo racconta: "Quando si è tenuta la proiezione del film restaurato a Bologna e ci siamo trovati in Piazza Grande con una miriade di persone, molte sedute, molte in piedi, tutte davvero partecipi, è stato emozionante. Mi hanno segnalato addirittura un gruppo di turisti americani che passava di lì per caso e si è fermato durante tutto il film. È stata la nostra insofferenza per l'intolleranza a spingerci a realizzare 'Sacco e Vanzetti', Giordano Bruno, Dio è con noi, Gli occhiali d'oro. L'intolleranza è la madre di tutte le sciagure. Quindi mi sono davvero emozionato quando a Boston (e io per fortuna ero presente) Michael Dukakis, governatore del Massachusetts, ha proclamato la riabilitazione di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti: proprio grazie al film si era costituito un comitato di riabilitazione che ha portato a questo risultato. C'è stato un assalto bellissimo dei giovani al film. Ricordo che un giorno mi trovavo a Berlino per parlare del progetto di un altro film sull'ingiustizia, progetto che purtroppo è rimasto un sogno nel cassetto. Improvvisamente mi sono trovato in mezzo a una manifestazione studentesca, e una guardia ha bloccato me e Vera cantando 'Here's to You' di Ennio Morricone e Joan Baez. Ho pensato che se avesse saputo chi ero sarebbe stato molto inquieto".
Il cast di Sacco e Vanzetti e i problemi di produzione
Rosanna Fratello, che ha interpretato la moglie di Sacco, dichiara commossa: "Io ho partecipato a pochi film, e la mia presenza in questo capolavoro mi ha gratificato in un modo incredibile; continuo a emozionarmi quando lo vedo. Ringrazio davvero Giuliano per avermi voluto nel cast, e ringrazio questi due registi meravigliosi che hanno realizzato 'La morte legale'".
Giuliano Montaldo ricorda con affetto: "Dopo aver trovato un attore come Gian Maria Volonté, del nord Italia come Vanzetti, e Riccardo Cucciolla, pugliese come Sacco, volevo trovare un'attrice brava e bella, dato che la moglie di Sacco era bella. Rosanna Fratello è stata subito determinante: ricordo un provino ridicolo; appena è entrata non l'ho fatta neanche parlare. Ho detto: 'È lei'; e ho avuto ragione. La faticosa preparazione del film è durata tre anni. Il produttore era in ansia all'idea di girare un film ambientato in America negli anni Venti: non era rimasto neanche un mattone di quell'epoca. Poi abbiamo avuto un'idea: girare a Dublino come se fosse Boston; quando abbiamo scoperto che neanche gli americani, guardando le foto, si stupivano di quell'America dublinese, ci siamo rassicurati. Ma le difficoltà sorgevano in continuazione. A un certo punto, per problemi economici, è diventata una co-produzione con la Francia, e mi hanno proposto Volonté per la parte di Vanzetti, e per la parte di Sacco Yves Montand. Ma Sacco era un uomo più gracile e fragile; io stimavo Yves Montand come attore, ma mi sono rifiutato, perché non era assolutamente adatto per il personaggio. È stata una battaglia, ma alla fine l'ho vinta. L'aula di tribunale invece è stata ricostruita a Cinecittà: hanno partecipato molte persone con grande entusiasmo e anche gratuitamente, perché cominciavano a sentire il sapore di qualcosa che funzionava. Però la distribuzione all'inizio era molto cauta e ripeteva: 'Non li conosce nessuno quei due'. Tre anni di lotte continue, ma alla fine sono riuscito a realizzare il film; ho avuto davvero molta testardaggine, e ne sono orgoglioso".
Come cambia la censura negli anni
Vera Pescarolo Montaldo racconta come fosse l'atmosfera in Italia all'epoca dell'uscita del film: "Fu un grande successo; così Angelo Guglielmi, che era in Rai in quegli anni, disse che lo avrebbero mandato in onda; ma è stato trasmesso con dei tagli importanti. E Vanzetti non urlava più: 'Viva l'anarchia!', ma 'Viva la libertà!'".
Giuliano Montaldo specifica: "Vera è stata molto indulgente: in realtà hanno fatto moltissimi altri tagli. Ma non era lo sceneggiatore a essersi inventato le parole di Vanzetti: il discorso finale era proprio il suo".
Il presidente di Distribuzione Indipendente, Giovanni Costantino, affronta il problema dell'impegno politico e della censura, allora e oggi. "Non posso non ricordare anche Elio Petri, che stava in prima linea in un certo tipo di cinema. E non posso non notare quanto il cinema di denuncia italiano attuale sia, salvo dovute eccezioni, forse un po' troppo politicamente corretto, un po' timido rispetto a quelli che erano i vostri modi di comunicare e di fare cinema".
Giuliano Montaldo rincara: "È un bel guaio: oggi i cinema chiudono. Anche nella stesura della sceneggiatura manca quel pugno di ferro che c'era una volta. Poi c'è il problema dei tempi di lavorazione e c'è il problema fondamentale della distribuzione, che deve tener conto del fatto che il film è prima di tutto destinato al passaggio televisivo. Per quello che mi riguarda, io so come vanno i miei film dal garagista sardo, che quando arrivo io m'informa di aver visto 'Giordano Bruno' in tv alle due. Da una parte siamo contenti, perché vuol dire che i nostri film non sono tagliati da 'dieci piani di morbidezza': non c'è la pubblicità. Il palinsesto lo fanno le pubblicità, che sanno meglio di noi che non s'interrompe un film che emoziona. Io vi farei vedere i film che non sono riuscito neanche a proporre, perché mi sono sentito dire più volte: 'Fatte veni' un'altra idea'. Anche con 'Giordano Bruno' mi sono sentito replicare: 'Tanto tutti sanno che è morto ammazzato'. Ma anche Gesù Cristo era morto ammazzato, però di film su di lui ne hanno fatti tanti. Il problema è sempre chi finanzia queste imprese".
Giotto Barbieri aggiunge che "la censura ai tempi del film di Montaldo era molto strutturata; adesso è piuttosto diventata un'autocensura, che arriva in fase di scrittura, quando lo sceneggiatore pensa che quello o quell'altro progetto non glielo faranno mai realizzare. È una censura di mercato: tutto si è appiattito, perché le decisioni ormai le prende il mercato, appunto. Occorrerebbero dei produttori coraggiosi che riescano a proporre al mercato anche argomenti scomodi".
L'intolleranza prende forme diverse
Per quanto riguarda il problema dell'intolleranza e dell'integrazione, Giovanni Costantino sottolinea i punti di contatto con il docufilm di Alfredo Lo Piero, La libertà non deve morire in mare, presentato pochi giorni prima sempre da Distribuzione Indipendente e con il patrocinio di Amnesty International Italia.
Antonio Marchesi, presidente di Amnesty International Italia, è d'accordo con lui e, dopo aver specificato che il suo ritardo era dovuto proprio a una lezione che ha tenuto sulla pena di morte, integra. "Oggi un'espressione che usa spesso Amnesty è 'demonizzazione': noi contro loro, e noi contro chi li difende e li aiuta mettendosi di traverso. C'è una tendenza a individuare dei nemici, dei capri espiatori, e questo vale nel contesto attuale con gli immigrati, con i richiedenti asilo. Sacco e Vanzetti erano italiani, anarchici: avevano tante caratteristiche che li rendevano il nemico perfetto. Mi piacerebbe sottolineare che questo film, oltre a essere un capolavoro, è uno strumento formidabile nell'ambito della battaglia contro la pena di morte, che è una battaglia molto attuale dato che ci sono tanti paesi, compresi gli Stati Uniti d'America, in cui vige ancora la pena di morte. E questa viene applicata prevalentemente contro minoranze, contro categorie di persone particolarmente vulnerabili. Magari non sono gli anarchici italiani, però la logica non è molto diversa. Questo film meraviglioso negli ultimi anni ha rappresentato anche un modo per noi per parlare della pena di morte, e per spiegare come venga spesso eseguita nei confronti di persone innocenti, come venga usata come strumento di persecuzione politica, come sia una violazione terribile dei diritti umani. Noi documentiamo; ma quando troviamo qualcuno che sappia raccontare anche delle storie parlando al cuore siamo nelle condizioni di fare un lavoro molto più efficace".
Leggi anche: La libertà non deve morire in mare: un film che dovrebbe essere visto
Giovanni Costantino conclude informando che il film esce l'11 ottobre. "Dapprima in 3-4 sale in Italia, e a Roma al Nuovo Cinema Aquila. Poi via via aumenterà il numero delle sale e il film girerà in tutta Italia; l'uscita da 'arraffa il malloppo e scappa' non ci interessa, anche perché quelli di cui ci occupiamo noi non sono film sugli Avengers. I nostri film rimangono in sala per mesi, e fino anche a un anno. Molte sale stanno cercando di accoppiare 'La morte legale' col film 'Sacco e Vanzetti', restaurato dalla Cineteca di Bologna. Siamo molto contenti, perché riusciremmo a dare il nostro contributo alla diffusione di un'opera non solo importante in sé, ma fondamentale anche per quei diritti violati e che vanno assolutamente difesi".
Movieplayer.it
3.5/5