La mano destra di Dio
Una diagnosi che suonava come una condanna, che era una condanna, osteogenesi imperfetta: così iniziava la vita di un bambino nato letteralmente con le ossa rotte, ma destinato a un posto d'onore nella storia della musica contemporanea. Michel Petrucciani aveva poco tempo per la grandezza, per l'amore, per il divertimento, e lo sapeva bene: invece di frenarsi per salvaguardare la propria fragile salute, bruciò gioiosamente ogni energia; invece di chiudersi in sé stesso, nascondersi nel suo handicap, fu uno uomo sfrontato e aperto, un amico avventuroso, un amante appassionato sebbene non esattamente fedele.
E soprattutto fu un musicista eccelso: oltre alla straordinarietà di tanta energia in un uomo costretto a convivere con il dolore e la precarietà, il film di Michael Radford racconta l'unicità della sua vocazione musicale. Petrucciani non è stato un grande pianista nonostante il suo handicap, lo è stato anche grazie al suo handicap, alla sua ansia di vita, ma anche alla leggerezza delle sua ossa, che gli assicuravano una precisione, un'agilità e una velocità impareggiabili, e alla tecnica singolare cui la sua conformazione fisica lo costringeva, che gli ha permesso di creare il suo irriproducibile suono, come era irriproducibile quello dei Thelonius Monk, di Bill Evans, dei Chick Corea.
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Ma in fondo quello che conta non è quanto fosse affascinante o petulante, leale o bugiardo, solare o ostile, egoista o generoso Michel, quel che conta è la musica. E la musica continua.
Movieplayer.it
3.0/5