Recensione La strada di Levi (2006)

Parole e luoghi vengonodalla memoria di Primo Levi, ma le immagini sono quelle della realtà dell'Europa dell'Est di oggi, con le rovine e la polvere lasciata dal crollo dei regimi comunisti, e di quella occidentale, ugualmente vuota e disillusa.

La lunga strada verso casa

Un documentario on the road sospinto dal soffio della memoria, sulle vie ciottolose del presente, nell'Est post-comunista dei nostri giorni. La strada di Levi percorre con grande precisione le stesse tappe del lungo viaggio attraverso l'Europa che lo scrittore Primo Levi dovette affrontare, tra il gennaio e il novembre del 1945, per raggiungere casa dopo la detenzione nel campo di concentramento più tristemente famoso della storia, Auschwitz, un percorso obbligato che costrinse l'autore di Se questo è un uomo a fare tappa in diversi paesi dell'Europa prima di poter giungere nella sua Torino. Anche le parole, recitate dalla voce intensa di Umberto Orsini e intrecciate alle splendide musiche di Daniele Sepe, sono quelle dello scrittore piemontese, tratte da uno dei suoi libri più famosi, La tregua, testimonianza viva ed emozionata di quel lungo viaggio verso casa, una drammatica maratona da Auschwitz a Torino, lunga seimila chilometri, troppi più del necessario, e dieci mesi di sofferenza. Parole e luoghi vengono, quindi, direttamente dalla memoria di Primo Levi, ma le immagini filmate da Davide Ferrario sono quelle della realtà dell'Europa dell'Est di oggi, con le rovine e la polvere lasciata dal crollo dei regimi comunisti, e di quella occidentale, ugualmente vuota e disillusa.

Tra immagini di repertorio (tra cui quelle di Primo Levi in visita ad Auschwitz) e materiale originale, il film di Ferrario mescola, con sapienza, storia e realtà presente, affondando i versi carichi di emozione dello scrittore negli spazi vuoti delle città citate dalla sua penna, nelle fabbriche ormai in disuso, a ricordarci il fallimento del sogno socialista, e nelle zone cancellate da disastri nucleari. La strada di Levi ha il suo punto di forza nel tocco lieve con cui si addentra per questi sentieri polverosi del mondo che è rimasto dopo decenni di guerre calde e fredde, con il ricordo vivo di quel che è stato che pulsa nelle orecchie, senza virare mai nei toni struggenti che sempre si adottano quando si rievocano simili avvenimenti. Ferrario vuole descrivere la tregua silenziosa del mondo sessant'anni dopo l'odissea di Levi, ma il suo film si perde proprio in quel vuoto che racconta, nei deserti dell'oggi, senza testimonianze realmente interessanti da riportare, senza luoghi con voci calde da registrare, limitandosi a visite guidate in zone-museo, come il cimitero delle statue comuniste o l'acciaieria dimessa di Nowa Huta, che troppo poco sanno dirci della vita in quei paesi oggigiorno, ed è buffo come, una volta arrivati a Berlino, non si abbia nulla di meglio da filmare che il solito raduno di neo-nazisti irriducibili che ancora passano il proprio tempo a masticare immondizia. Gratuite, infine, le immagini di Ground Zero poste in apertura del film, che dichiarano l'intenzione di voler raccontare la tregua tra la caduta del muro di Berlino e l'11 settembre 2001, un obiettivo non raggiunto, ma che, in fondo, può pur sempre tornar buono per un prossimo documentario.