Regista, produttrice, scrittrice e responsabile della casa editrice La nave di Teseo, Elisabetta Sgarbi non riesce a fare a meno di fare ritorno all'arte figurativa, che tanto ama, animandola e ridandole nuova vita sullo schermo. L'ultima sua creatura dedicata alla pittura è La lingua dei furfanti, cortometraggio della durata di circa mezz'ora dedicato agli affreschi di Girolamo Romanino in Val Camonica. La genesi del film è stata piuttosto lunga, visto che la Sgarbi ha iniziato a preparare il progetto nel 2012, spinta dal desiderio di omaggiare l'arte del Romanino, che appartiene al mondo dei pittori della Valle, ma ha un tratto assolutamente libero e visionario.
Il titolo del film d'arte della Sgarbi, La lingua dei furfanti, è mutuato da Teofilo Folengo, contemporaneo di Romanino altrettanto libero, anticonformista e rivoluzionario. E rivoluzionaria è anche la volontà di Elisabetta Sgarbi a proseguire nel filone d'arte confezionando con stile personale opere rivolte a un pubblico ben preciso. Come ci racconta la regista "questi film li produco con la mia Betty Wrong, da produttrice cerco sempre un'altra via. Con i miei due direttori della fotografia ho lavorato molto e in situazioni estreme perché il mio scopo è fare qualcosa di diverso".
Gli affreschi prendono vita
La lingua dei furfanti è l'ultimo di una serie di documentari dedicati a opere o artisti. Stavolta la Sgarbi si è recata con la sua troupe sui luoghi del Romanino, Pisogne, Breno, Bienno, per filmare a più riprese il ciclo di affreschi di Romanino in tre chiese della zona. "Ci siamo resi conto che l'attrezzatura digitale era troppo fredda per restituire al pubblico la vivacità e l'attualità di una pittura che a tratti ricorda Milo Manara" spiega Elisabetta Sgarbi "così abbiamo deciso di fondere tecnica digitale e tecnica cinematografica, ottenendo un impasto molto più caldo".
Così come calda è la voce che accompagna il film declamando versi di Luca Doninelli, voce che appartiene a Toni Servillo, storico collaboratore della Sgarbi insieme a Franco Battiato, che ha curato le musiche: "In passato Toni Servillo aveva girato con me Notte senza fine - amore tradimento incesto, lo conosco da tempo e so quanto ami l'arte antica. Abbiamo passioni comuni su artisti contemporanei. Nel filone d'arte Toni mi ha servito con fedeltà sorprendente. Ha prestato spesso la sua voce alle mie opere. Romanino dimentica i modelli e segue la velocità del pensiero con la velocità del tratto. Il tutto seguendo un proprio moto interiore. Toni Servillo ha cercato di adattare questa caratteristica alla sua recitazione, è l'anima dei miei film. Quando gli ho mandato i testi di Luca Doninelli, lui era entusiasta".
Vedere le inquadrature
Elisabetta Sgarbi confessa che la scelta di concentrarsi sul Romanino è dovuta proprio alle caratteristiche intrinseche della sua pittura. "Romanino ha l'idea geniale di rappresentare le persone della valle nelle scene della vita di Cristo, inserendo nei suoi affreschi tratti lombrosiani tipici del luogo e corpi massicci. Per gli abitanti della Val Camonica i dipinti della chiesa erano reali, descrivevano davvero ciò che era accaduto a Cristo. Gli abitanti del paese non uscivano quasi mai dalla Valle, perciò la pittura rappresentava l'unica immagine che conoscessero. Per rispettare l'immediatezza e la ruvidezza di questo artista ho bandito gli effetti in post-produzione, optando per l'uso di elementi naturali, fuoco, pioggia. Effetti materici, volevo sporcare l'immagine come sporca è la lingua di Romanino. Il tutto con un ritmo lento, quasi stremato. Mi piace mettere alla prova il pubblico. Chi vuole conquistarlo forzatamente non lo conquisterà".
Alla base della produzione artistica di Elisabetta Sgarbi c'è però un modello a cui l'autrice aspira sempre quando si occupa di pittura: si tratta di Elegia di un viaggio di Aleksandr Sokurov, a cui va affiancato Bella di notte di Luciano Emmer. La regista racconta: "Io amo il nero, ma anche la luce. Adoro accostare buio e luce, perciò vedendo Emmer con una torcia che andava a esplorare la Galleria Borghese mi sono detta 'Non avevo mai visto le opere d'arte così bene'. Anche Sokurov compie un viaggio da solo nel Museo di Rotterdam e fa muovere le foglie con dei trucchi di post-produzione che non ha mai svelato. Vedendo queste opere mi sono detta 'La pittura, più della fotografia, è viva. Occorre trovare un modo per raccontarla. Così ho usato mezzi come acqua, fuoco e specchi per dare nuova vita ai dipinti. Alla lunga questo è diventato il mio stile e la regia è divenuta una vera e propria necessità".