Recensione Coco Chanel (2008)

Coco Chanel si assesta su livelli decisamente convincenti e restituisce l'energia vitale della protagonista, sempre indipendente dal giudizio altrui ed innovativa nelle proprie creazioni.

La libertà non passa mai di moda

Come nasce un genio? Dallo studio indefesso, dalla dedizione al sapere, dall'allenamento costante? O semplicemente è un dono di natura, magari nemmeno richiesto? E di cosa ha bisogno il talento per farsi atto, e per dare una spintarella al mondo che, lasciato a se stesso, procede a tentoni?
Non è facile dare una risposta a tutti questi interrogativi, e forse nemmeno serve, ma tanto per cominciare si potrebbe indagare la vita di quelli che geni sono stati universalmente riconosciuti, indipendentemente dal campo in cui hanno dato il loro contributo, perché a volte una cravatta è più illuminante di una formula matematica, e le gerarchie nelle arti e nelle scienze non hanno mai fatto del bene a nessuno.
Come non annoverare tra queste grandi personalità anche Coco Chanel, vera e propria rivoluzionaria della moda, che le giovanissime generazioni ricorderanno tutt'al più per il celeberrimo profumo N°5, quando in realtà le sue imprese si sono spinte ben oltre la scelta di qualche essenza, nella creazione di un nuovo modo di intendere l'eleganza e la femminilità.
Mamma Rai negli ultimi anni si è data un gran da fare nell'ambito delle fiction e delle mini serie, quindi perché non cogliere l'occasione di gettare un po' di luce su questo personaggio reso celebre in età matura dalle sue bizze e dalla sua arroganza, ma del cui vero carattere ben poco si sa? E così, battendo in velocità un'uscita cinematografica, quella della pellicola con protagonista Audrey Tautou, annunciata da tempo ma che ancora è immersa nelle difficoltà di produzione, il frutto della collaborazione tra LuxVide e France 2 vedrà la luce dei salotti delle famiglie italiane sabato 5 e domenica 6 ottobre.

Un'impresa non facile, quella di raccontare in due sole puntate l'esistenza tormentata di una grande interprete dello stile, che il regista canadese Christian Duguay concentra negli anni della prima guerra mondiale, quelli delle difficoltà ma anche delle prime soddisfazioni, e nel 1954, periodo del declino e della prepotente risalita sulla cresta dell'onda dell'orfana Gabrielle, abbandonata in gioventù dal padre in orfanotrofio insieme alla sorella minore.
E così seguiamo le sue angosce, prima come modista creatrice di cappelli che nessuno compra, perchè senza un negozio in cui esporre la merce è difficile farsi conoscere, poi giovane astro nascente schiacciata dalla frustrazione di dover dipendere dai prestiti di Boy Capel, prima amico, poi amante e amore. Questo per descrivere un tempo in cui Gabrielle non era la dura, bisbetica signora dalla sigaretta sempre accesa, ma una donna sì orgogliosa, ma altrettanto appassionata e di grande cuore, generosa con gli amici e pronta ad abbandonarsi totalmente all'amore. Le sequenze ambientate nel 1954 fanno luce, invece, sulla Coco più ironica, determinata e quasi dispotica, intrappolata nelle conseguenze che le sue scelte hanno comportato, ma sempre legata al proprio sogno di bambina e alla responsabilità nei confronti di coloro che l'hanno aiutata a realizzarlo.
La pellicola restituisce, grazie ad un montaggio dinamico, che si fonda sull'uso dei flashback per alternare i diversi piani temporali della vicenda, l'energia vitale della protagonista, sempre indipendente dal giudizio altrui ed innovativa nelle proprie creazioni, forte del motto secondo cui "la libertà non passa mai di moda". Entrambe le attrici a cui è affidato il non facile compito di trasporre sul piccolo schermo il carisma e la verve di Coco si comportano egregiamente: Barbora Bobulova è interprete delle emozioni più intense, più esaltanti ma anche più dolorose, mentre Shirley MacLaine traduce alla perfezione la caustica ironia e insieme il severo cipiglio della stilista affermata.
In questo caso la produzione Rai si assesta su livelli decisamente convincenti, grazie anche ad uno staff di fama internazionale e con la giusta padronanza del mezzo televisivo, ma è soprattutto il personaggio di cui si parla a fare la differenza, perché una piccola, grande rivoluzione si può fare anche a colpi di ago, filo e forbici.