"Te l'hanno mai raccontata la storia dell'asino a te?". Lo chiede Mauro a Cesare. Due amici da sempre - interpretati rispettivamente da Alessandro Gazale e Fabrizio Ferracane -, ex minatori finiti a lavorare come guardie giurate in una miniera di carbone in disuso nel sud ovest della Sardegna. Sono i protagonisti de La guerra di Cesare, esordio al lungometraggio di Sergio Scavio in sala dopo il passaggio al Bif&st. La storia è quella dell'asino calato nel buio delle gallerie della miniera fin da giovanissimo. Non conosce altro e finisce per restare cieco. Una condizione che, metaforicamente, ricalca quella dei due uomini.
Una disamina sul mondo del lavoro

Un'esistenza passata in quelle cave. Un luogo che, ci suggerisce il regista, assume una duplice valenza. Se da un lato è il centro della vita dei due uomini che permette loro di mettere il pane in tavola, dall'altro è anche la loro rovina. Non conoscono altro e ne sono prigionieri. Aspettano speranzosi che un'azienda cinese acquisti la miniera per rimetterla in attività. Anche se forse, riflette Mauro, sono meglio gli arabi. Quando però la trattativa si interrompe bruscamente i due perdono il lavoro. La rabbia provata porta l'uomo a un gesto estremo: tentare di dare fuoco ad un ufficio della struttura. Un errore nell'esecuzione gli costa la vita. Davanti a quella perdita Cesare apre gli occhi e decide che non può continuare a restare immobile.
Si lascia la sua città e un matrimonio al capolinea alle spalle e parte per Sassari, sede principale dell'azienda mineraria, per vendicare il suo amico. Con lui anche il fratello con problemi psichiatrici di Mauro, Francesco (Luciano Curreli). Un uomo sui cinquant'anni con una venerazione per Cossiga. Quel viaggio nato con un obiettivo preciso prenderà però traiettorie del tutto inaspettate mettendo in discussione una volontà apparentemente granitica.

Scavio per il suo film ha scelto di rivisitare La vita agra di Luciano Bianciardi. Un romanzo edito nel 1962 che Carlo Lizzani già due anni dopo adattò in un film con protagonista Ugo Tognazzi. Una storia autobiografica in cui l'autore raccontava del tentativo di vendicare i minatori morti nell'incidente alla miniera di Ribolla. Un racconto sui primi scricchioli del boom economico che, a distanza di oltre cinquant'anni, hanno lasciato il posto a un abisso. In questo La guerra di Cesare è una disamina chirurgica sul mondo del lavoro e sul senso della ribellione calati nel nostro presente.
Un dramma grottesco

Per Cesare il mondo si è fermato al 1983 - solo un anno dopo sarebbe morto Enrico Berlinguer portando via con sé la grande epoca del partito comunista italiano. Una visione del mondo chiusa e nostalgica. Lo dimostra anche la musica che ascolta e che mette a tutto volume nella sala da ballo dove impartisce lezioni ad un piccolo gruppo di persone che lo seguono senza troppa convinzione. La perdita del suo migliore amico diventa, paradossalmente, un motore. Una spinta per liberarsi da catene invisibili che lo trattenevano in una vita sempre uguale senza un orizzonte a cui tendere.
Da una morte nasce un riscatto. Cesare fiorisce, trova l'amore, prova a mettere in atto il suo piano. Insomma: vive invece di sopravvivere. È senza dubbio un dramma il genere al quale va ascritto La guerra di Cesare, ma Sergio Scavio sceglie il registro del grottesco, del comico, del surreale per raccontarlo. La pellicola è puntellata di sequenze apparentemente futili che, al contrario, ci permettono di capire meglio i personaggi, di empatizzare con loro.

Molto importante anche l'uso della musica che attraversa generi sempre diversi e spiazza lo spettatore. Esemplare in questo senso il rock che accompagna il funerale di Mauro. Una scelta alla quale si aggiunge la fotografia di Micaela Cauterucci capace di catturare la luce naturale della provincia sarda così come quelle al neon delle notti o delle sale da ballo. Il suo punto di forza - non allinearsi a una narrazione stereotipata o prevedibile - potrebbe essere anche ciò che disorienta una fetta di pubblico così come alcuni scambi meno fluidi (dovuti in parte anche alla scelta di avvalersi di alcuni attori non professionisti).
Ma in definitiva La guerra di Cesare è un esordio riuscito che riflette sul tema del lavoro e sulla dignità - un binomio che non sempre viene rispettato -, sull'amicizia maschile e sulle ribellioni mancate. Anche se forse Cesare la sua guerra l'ha vinta quando è riuscito ad affrancarsi dalla miniera. Una sorta di madre asfissiante che, giorno dopo giorno, lo ha nutrito e avvelenato.
Conclusioni
Prendendo spunto da La vita agra di Luciano Bianciardi, Sergio Scavio offre una disamina sulla dignità del lavoro e sulla ribellione nel contesto contemporaneo. Nonostante La guerra di Cesare sia una pellicola drammatica, il regista sceglie un registro grottesco e surreale, usando sequenze apparentemente futili per approfondire le psicologie dei personaggi. Un film che riflette sull'amicizia maschile e sulle ribellioni mancate, suggerendo che la vera vittoria per il protagonista non risieda nella vendetta, ma nell'atto di affrancarsi da una "madre asfissiante" come la miniera, imparando a vivere anziché sopravvivere. Un debutto al lungometraggio riuscito, che, nonostante alcune scelte stilistiche che potrebbero disorientare parte del pubblico, offre uno spaccato autentico e profondo sul mondo del lavoro.
Perché ci piace
- La scelta di un registro grottesco e comico
- L'introduzione di sequenze apparentemente futili ma importanti per capire i personaggi
- La riflessione sul lavoro legata al presente
- La base letteraria da cui prende spunto il film
- L'uso della musica
- L'interpretazione di Fabrizio Ferracane
Cosa non va
- Alcuni passaggi sono meno fluidi
- Una fetta di pubblico potrebbe trovare spiazzanti determinate scelte