Recensione Il seme della follia (1995)

Questo film, datato 1995, è l'opera più ambiziosa e complessa di John Carpenter, quella in cui la sua visione apocalittica, nichilista dell'umanità e della sua evoluzione raggiunge la sua compiutezza e viene spinta fino alle estreme conseguenze.

La fine è scritta

Questo film, datato 1995, è l'opera più ambiziosa e complessa di John Carpenter, quella in cui la sua visione apocalittica, nichilista dell'umanità e della sua evoluzione raggiunge la sua compiutezza e viene spinta fino alle estreme conseguenze. Si respira disfacimento fin dall'inizio, in questo film: fin dalla prima scena, in cui un invasato Trent (interpretato da un ottimo Sam Neill) viene portato nella clinica psichiatrica che sarà il suo nuovo soggiorno, capiamo che c'è qualcosa che non va: l'ex-investigatore assicurativo farfuglia cose apparentemente senza senso, mentre i responsabili del manicomio chiedono agli agenti di custodia se lui sia "uno di loro" e come stanno andando le cose "là fuori". Si capisce subito, quindi, che qualcosa di terribile sta accadendo, e questa sensazione è suffragata dalle visioni (che forse tali non sono) dello stesso Trent, e dal racconto che egli fa allo psichiatra incaricato del suo caso, dal quale ha origine il lungo flashback che costituisce il cuore del film.
Carpenter parte qui da quello che è un apparente fenomeno di isteria collettiva, per approdare a una riflessione sul confine tra realtà e immaginazione, sulla percezione della realtà da parte della mente umana e sulla definizione di follia. "Ciò che Cane narra non è reale dal tuo punto di vista", afferma la compagna di viaggio di Trent, l'editor Linda Styles, rivolta all'investigatore che non comprende perché le storie dello scrittore esercitino così tanto fascino sui lettori di tutto il mondo. "E per ora la realtà condivide il tuo punto di vista. Quello che mi spaventa nel suo lavoro è ciò che potrebbe succedere se la realtà condividesse invece il suo punto di vista."
"Ma non stiamo parlando di realtà, qui", risponde, pragmatico, Trent. "Qui stiamo parlando di finzione. E' diverso."
"La realtà è soltanto quella che noi ci raccontiamo. Normalità e follia potrebbero facilmente prendere l'una il posto dell'altra, se la follia diventasse maggioranza. Ti ritroveresti chiuso in una stanza imbottita domandandoti cosa è successo al mondo."
Al di là del carattere profetico delle parole della donna, è facile vedere in questa concezione relativistica della normalità echi della dialettica che ha fatto la fortuna di un romanzo come Io sono leggenda di Richard Matheson. Normalità e follia non sono concetti assoluti, ma sono indissolubilmente legati al modo di pensare e di agire della massa; e, estremizzando, il discorso può valere anche per il concetto di realtà. Se il resto del mondo condivide una visione della realtà, diversa dalla tua, allora indiscutibilmente il folle sei tu.

Trent è un uomo pratico, razionale, abituato a ragionare secondo canoni consolidati e ad agire secondo la sua visione delle cose. Egli sarà perciò del tutto impreparato di fronte a ciò che gli succederà. "Questa è la realtà!", ripeterà più volte, di fronte agli incredibili eventi che andranno dispiegandosi davanti ai suoi occhi. "Noi non viviamo in un libro di Cane! Questa è la realtà!" Eppure, l'uomo dovrà imparare che la sua concezione di realtà non è l'unica possibile, e che l'universo che ha sempre conosciuto sta cambiando radicalmente le sue coordinate. Gradualmente, infatti, Trent capirà di essere precipitato all'interno di una delle storie di Sutter Cane (o forse di essere persino un personaggio creato dallo stesso Cane, che suo malgrado obbedisce ai voleri del dio-scrittore); anzi, l'investigatore si renderà conto di avere un ruolo fondamentale all'interno di quello che è l'ultimo romanzo di Cane, quello definitivo: Il Seme della Follia, per l'appunto, il romanzo che segna la fuoriuscita degli orrori dello scrittore dalla pagina scritta e il loro ingresso nella realtà, con lo scopo di distruggere il genere umano.

"La religione ricerca la disciplina nella paura", dice il demiurgo Cane. "Ma non ha mai capito la vera natura della creazione. Nessuno ci ha mai creduto abbastanza da renderla reale. Lo stesso non si può dire del mio mondo. (...) Ci sono più persone che credono nel mio lavoro di quante credano nella Bibbia. (...) Il mio prossimo libro renderà il mondo pronto al cambiamento. Prenderà il suo potere da nuovi lettori e nuovi credenti. Questo è il punto: credere!" In tutto ciò, Trent avrà un ruolo fondamentale: sarà l'ultimo testimone della razza umana, intesa come specie dotata di razionalità e capacità di discernimento. Il terreno è ormai pronto per la venuta degli "old ones", che instaureranno sulla terra il loro regno di terrore e follia.

Uno scrittore che è stato più volte citato parlando di questo film è l'americano Howard Philips Lovecraft: in effetti, si tratta di un accostamento tutt'altro che azzardato. Quello di Carpenter è forse, nella storia del cinema, il film che più si avvicina allo spirito delle opere del "solitario di Providence", restituendone tutto il senso di orrore "cosmico" e di apocalittica angoscia. I personaggi di questo film, così come quelli delle storie di Lovecraft, sentono di essere in balia di forze più grandi di loro, che potrebbero schiacciarli da un momento all'altro; forze che, alla sola vista, generano la follia. Così come Lovecraft non ci da mai una descrizione completa delle sue mostruose divinità (facendo dire ai suoi personaggi che esse esprimono un orrore indescrivibile dagli esseri umani), Carpenter non ci fa mai vedere gli "old ones" che dovranno arrivare nel nostro mondo, limitandosi a rapidi scorci: solo in una scena vediamo delle creature inseguire Trent in un tunnel, ma l'atmosfera di angoscia creata dal regista è tale da non farci credere che quelle siano davvero le mostruosità peggiori che ci possiamo aspettare.
Visivamente, il film è tra i più curati in assoluto del regista: la fotografia predilige i toni cupi, lividi, tendenti al rosso vermiglio negli interni, sovraccaricati di tonalità innaturali negli esterni, tali da conferire al film un look onirico e inquietante anche nelle scene diurne. L'angoscia trasmessa dal lungo viaggio di Trent nella cittadina di Hobb's End è graduale e inesorabile: Carpenter si dimostra ancora una volta maestro nel gestire i tempi narrativi e il crescendo di tensione della storia. La regia punta tutto sul senso di disagio crescente del protagonista, evitando gli spaventi gratuiti e i più vieti espedienti del genere: non c'è bisogno di salti sulla sedia quando man mano ci rendiamo conto che quella a cui stiamo assistendo è l'apocalisse, più spaventosa di come ce la saremmo potuta immaginare nei nostri peggiori incubi.

E' difficile dimenticare la scena finale, con Trent che, chiuso in un cinema deserto, assiste alla proiezione del film che noi stessi stiamo vedendo, Il Seme della Follia, tratto dall'ultimo romanzo di Sutter Cane; rivedendo sé stesso sullo schermo, il protagonista capisce definitivamente di aver servito fino all'ultimo i voleri dello scrittore-demiurgo, e che la volontà di quest'ultimo è stata infine compiuta: l'opera di Cane è diventata un film, l'ultimo documento, per immagini, della distruzione dell'umanità; il ruolo di ultimo testimone di Trent è stato così definitivamente immortalato. Il cinema, ancora una volta, svolge un ruolo fondamentale, seppur nella distruzione: un ruolo di testimonianza, disperata ma necessaria. Testimonianza nella e della distruzione: a ben vedere, è quello che il regista americano, nei suoi film, ha sempre fatto.

Movieplayer.it

5.0/5