La dissacrante Età dell' oro di Buñuel e Dalí
Dall' incontro di due menti eccentriche e rivoluzionarie come quelle di Luis Buñuel e Salvador Dalí, dopo Un Chien andalou (1929) non poteva che scaturire, l' anno successivo, L'age d'or, un film che si oppone ad ogni istituzione per il suo forte impatto visivo e il violento intento dissacrante.
Le immagini visionarie del pittore si fondono alla perfezione con l' espressione dell' inconscio del regista in un film che, apparentemente insensato, riesce a mantenere una sua coerenza interna senza trascurare il tessuto narrativo: Gaston Modot e Lya Lys rincorrono senza freni la loro passione amorosa; non riuscendo, però, a soddisfare reciprocamente il loro desiderio, la ragazza trova un altro uomo, preferendolo al protagonista maschile che, impotente, può solo sfogare la sua ira e frustrazione gettando alberi incendiati, vescovi e giraffe da una finestra.
All'inizio della pellicola, le immagini che seguono la prima didascalia sono di tipo documentaristico: sono riprese di scorpioni. È una scelta volutamente forte per un film che, stando al titolo, dovrebbe rappresentare la mitica età dell'oro, il periodo nel quale gli uomini vivevano felici in una sorta di paradiso terrestre. Le immagini si alternano con le scritte che vanno ad analizzare più in dettaglio le caratteristiche dell'animale, con particolare attenzione per l'uncino: può servire sia per il combattimento che per la conoscenza. Per la lotta, dunque, o per l'amore. Le battute scambiate tra i banditi che abitano, come gli scorpioni, tra le rocce, sembrano casuali; del resto, se andiamo ad analizzare i quadri di Dalí di quel periodo, è impresa ardua trovare un legame netto ed evidente tra titolo e immagine dipinta.
Le due tendenze opposte degli scorpioni (lotta/amore) si ritrovano anche nel personaggio senza nome di Gaston Modot: egli, durante la processione per la posa della prima pietra di Roma Imperiale nel 1930, si getta per terra con Lya Lys in preda ad una passione erotica incontrollabile. Il disappunto di tutti gli altri uomini civili non tende ad arrivare e i due vengono separati. Trascinato dai poliziotti, Modot pensa a Lya Lys e la sua fantasia perversa viene alimentata da immagini pubblicitarie viste per strada; il regista, con un paio di sapienti dissolvenze incrociate, ci mostra ciò che effettivamente sta facendo il personaggio femminile nel momento in cui l'uomo l'immagina: è dedita a consolarsi, in privato, per la forzata separazione. Anche a distanza, comunque, il desiderio reciproco li raggiunge: la donna entra in camera sua e, dopo aver cacciato un'enorme mucca (simbolo delle pulsioni sessuali femminili: forse La Bête andalouse del titolo originale?) che era sdraiata sul suo letto, si siede davanti ad uno specchio. Mentre sentiamo ancora il campanaccio dell'animale in sottofondo, le immagini e il sonoro ci portano dal protagonista maschile che si trova di fronte ad un cancello con un cane che abbaia; poi si alza il vento e la ragazza nella sua camera viene completamente investita dalla forza della passione. Riguardandosi allo specchio non vede più la sua esteriorità, ma il suo animo agitato rappresentato dalle nuvole. Buñuel è un maestro nell' esteriorizzare le pulsioni più intime e profonde che agitano i protagonisti, ma proprio come bisogna fare con i quadri di Dalí, è necessario trovare una chiave di lettura valida per entrare nella mente dell' artista.
Alla festa data dai Marchesi di X, genitori della ragazza, non può mancare Modot, che commette un terribile gesto schiaffeggiando la padrona di casa per averlo involontariamente sporcato. Questa azione sconvolge profondamente gli invitati, molto più dell' incendio scoppiato in cucina o del bambino ucciso in cortile. Gaston Modot si è dimostrato assai scortese, ma il suo atto provoca in Lya Lys l'effetto opposto: scontrandosi con i genitori, l'uomo esprime l' inconscio della ragazza, ossia la rivalità edipica nei confronti della madre e il desiderio latente per il padre. La passione tra i due amanti aumenta ancora di più.
La successiva sequenza in giardino è caratterizzata da un'infinita serie di gag: i due sono alla continua ricerca di una posizione per stare più comodi, ma la ragazza, mentre si baciano, è colta da un'improvvisa voglia feticista: avverte un irrefrenabile desiderio per il piede di una statua, che può soddisfare non appena Modot si allontana per rispondere ad una telefonata che si conclude con un suicidio "capovolto".
L'uomo poi torna dalla sua lei, ma Lya Lys, dopo un dialogo (supportato da efficaci immagini) che porta ai massimi livelli il loro amour fou, distoglie nuovamente l'attenzione dall'amante: nel vedere il direttore d'orchestra camminare tenendosi la testa dolorante, corre a baciarlo.
L'episodio in chiusura esplica ancora meglio la forte concezione anticlericale ricorrente in tutto il film con un preciso riferimento a Le 120 giornate di Sodoma di De Sade; in questo caso, però, il duca di Blangis ha le inconfondibili fattezze di un Cristo depravato e lussurioso, che invece di salvare i bisognosi, sferra loro il colpo di grazia come il più feroce degli scorpioni.