Uscirà il 31 ottobre nelle sale italiane, distribuito da Teodora Film, La diseducazione di Cameron Post, trasposizione del romanzo di Emily M. Danforth ad opera della giovane regista americana Desiree Akhavan, che ha adattato il libro della Danforth insieme alla sceneggiatrice italiana Cecilia Frugiuele. Protagonista del film è una delle star emergenti del cinema americano, Chloë Grace Moretz, nel ruolo del titolo: una ragazza adolescente spedita dalla famiglia in un centro di conversione per essere 'curata' dalla propria omosessualità, e costretta pertanto a combattere una battaglia quotidiana per mantenere un equilibrio emotivo e difendere la propria identità.
Presentato con successo lo scorso gennaio al Sundance Film Festival, dove ha vinto il Gran Premio della Giuria, La diseducazione di Cameron Post è stato proiettato anche alla Festa del Cinema di Roma 2018; e in occasione dell'anteprima del film abbiamo incontrato Desiree Akhavan che, in compagnia di Cecilia Frugiuele, ha parlato di questo progetto (il suo secondo lungometraggio, dopo Appropriate Behavior) e delle delicate tematiche al cuore della storia. Ecco il resoconto della conferenza stampa con la Akhavan.
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Il racconto di (de)formazione di Cameron Post
Cosa ti ha colpito del romanzo di Emily M. Danforth?
Il fatto che parlasse di una teenager, della sua relazione con la propria sessualità e del momento in cui ci si rende conto che gli adulti presenti nella tua vita non hanno il pieno controllo delle situazioni. Ne La diseducazione di Cameron Post però c'è anche qualche elemento dei film di John Hughes: dagli adolescenti che si scontrano con l'idea di autorità al riscorso all'umorismo.
Come hai lavorato per rendere 'tua' la storia narrata nel romanzo?
Io ho passato molto tempo in un centro di riabilitazione, nel mio caso per disturbi alimentari, e per me è stato un periodo importantissimo. Quando hai problemi di cibo ti ritrovi ad affrontare anche problemi emotivi, e in questo centro ho dovuto fidarmi ciecamente dei miei terapisti, porre la mia vita nelle loro mani: è stata un'esperienza positiva, ma per molti aspetti pure spaventosa. Quando invece ho fatto coming out i miei genitori sono rimasti spiazzati, non conoscevano persone gay, ai loro occhi devo essere apparsa come una specie di unicorno: in situazioni del genere, ti senti come se stessi rovinando la vita di altre persone semplicemente essendo te stessa.
Cosa pensi della terribile realtà dei campi di correzione per omosessuali?
In America esistono ancora. A volte sono mascherati: si tratta di istituti di impostazione cristiana che accolgono ragazzi con un vissuto difficile, senza mostrarsi ufficialmente come centri di correzione, e a volte si fanno scudo attraverso la libertà di espressione. Abbiamo svolto molte ricerche riguardo a questi centri e alle diverse tecniche di correzione utilizzate.
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Identità e omosessualità
Il film affronta il tema della scoperta e della difesa della propria identità: pensi che oggi questa impresa sia più facile rispetto al passato?
La mia vita è sempre stata legata a domande sui temi dell'identità e della casa. Oggi i social media ci richiedono di creare una persona, offrendoci molte opzioni per costruire la nostra identità pubblica. Personalmente mi sono sentita legata ad ambienti e culture diversi, spesso in conflitto fra loro: per esempio, il mio essere bisessuale talvolta mi ha messo in contrasto con una parte della comunità LGBT. Trovo inoltre buffo e assurdo che la gente abbia bisogno di definirsi attraverso degli hashtag. Mi auguro comunque che questo film contribuisca ad ampliare il dibattito al riguardo.
Nel cinema odierno esiste ancora un tabù legato alla sessualità femminile?
Sì, per un film come il mio è incredibilmente complicato raggiungere il pubblico: negli Stati Uniti, per esempio, qualunque accenno esplicito alla sessualità comporta il divieto ai minori di diciassette anni. Fin da piccola sono cresciuta con il cinema e la televisione che offrivano esempi di donne come oggetti del desiderio maschile, ma non capitava mai il contrario. Perfino quando si parla di cinema gay, l'omosessualità è più accettata se legata ai maschi: pensate a film come I segreti di Brokeback Mountain e Chiamami col tuo nome. I film sul lesbismo, come My Summer of Love e Carol, sono molto più rari, l'omosessualità e il desiderio femminili sono considerati ancora un tabù. E trovare finanziamenti per un film del genere è stato difficilissimo.
Cosa pensi del dibattito in corso a Hollywood sulla scelta di attori omosessuali o transessuali per i ruoli LGBT?
È una questione complessa: per quanto mi riguarda, penso che le storie debbano essere raccontate con autenticità, e per me è importante poter realizzare film queer essendo una regista queer. Ma mi è capitato di scritturare anche interpreti eterosessuali per ruoli omosessuali, e nel caso dei giovanissimi attori de La diseducazione di Cameron Post non ho mai fatto loro domande relative alla sessualità: non mi sembrava opportuno, si tratta di attori adolescenti e volevo creare un'atmosfera positiva sul set. Per girare il film abbiamo trascorso un mese tutti insieme in questo resort appena fuori New York, e tutti quanti sono stati invitati a sentirsi coinvolti nel progetto e ad offrire il proprio contributo. Il compito degli attori era di ricercare la profondità e le motivazioni dei rispettivi personaggi e capire cosa ciascuno di essi stesse nascondendo.