Recensione Private (2004)

Il leitmotiv della pellicola è l'osservazione attraverso gli occhi di una famiglia palestinese costretta ad una drammatica convivenza tra nemici l'evoluzione di un conflitto socio-culturale finora mai scevro da tensioni violente.

La 'dimensione privata' e la questione palestinese

Gaza, Palestina. Il docente di letteratura inglese Mohammed vive con la moglie e i suoi cinque figli in una casa situata tra un villaggio palestinese e un insediamento isrealiano. Data la sua posizione strategica per le parti in lotta, l'abitazione ben presto finisce per essere occupata dall'esercito. Ma al sopraggiungere dei soldati israeliani, convinto della possibilità di una pacifica convivenza, Mohammed si rifiuta categoricamente di abbandonare la casa. Inizia così una strana ripartizione logistica che relegherà il professore con la sua famiglia al pian terreno e trasformerà il primo piano dell'appartamento in una sorta di quartier generale israeliano. Non tutti riusciranno ad accettare serenamente la nuova sistemazione...

Girato a Riace in provincia di Reggio Calabria a partire da un'idea avuta assieme al produttore Mario Gianani, Private è il primo vero film del regista Saverio Costanzo. Un'opera prima nel complesso molto convincente e non solo perché finanziata da colossi come l'Istituto Luce, Rai Cinema e Cydonia, storicamente dall'occhio lungo nell'intravedere prospettive di successo per le loro produzioni. E neppure perché Saverio abbia in qualche modo ricevuto il trattamento privilegiato che malignamente si potrebbe ipotizzare nel caso del figlio di Maurizio Costanzo.
Piuttosto perché con Private per la prima volta a livello internazionale il cinema ci invita alla riflessione su uno dei più cronici e crudi mali del nostro presente, la guerra israelo-palestinese. E lo fa nella speranza di suggerire delle chiavi di lettura che favoriscano in qualche modo la risoluzione del conflitto. Documentare, far conoscere per poi possibilmente intervenire. Un messaggio che emerge forte dal film di Saverio.

Come suggerisce l'ambigua etimologia del termine stesso, in inglese private significa tanto "privato" quanto "soldato". Una parola ambivalente che pertanto centra alla perfezione il leitmotiv della pellicola: osservare in modo partecipato attraverso gli occhi di una famiglia palestinese costretta ad una drammatica convivenza tra nemici l'evoluzione di un conflitto socio-culturale finora mai scevro da tensioni violente. Non c'è giudizio di valore nell'ambito della narrazione, non si prendono le parti di alcuna fazione. C'è solo la volontà di documentare una realtà che non ci appartiene. Per questa ragione, Private non può essere considerato un film politico. Meglio inquadrarlo come una fiction verità (ricordiamo che la vicenda è tratta da una storia vera), caso mai come una sorta di trattato sociologico che intende presentare le differenze interculturali tra due popoli attraverso le diverse abitudini e condotte, gli stili di vita ed i modi di pensare dei vari personaggi.

La morale gandhiana ed una forte valorizzazione del concetto di pace (espresso attraverso la caratterizzazione del protagonista) sembra essere l'unica effettiva valutazione evincibile dalla pellicola.
Non poche analogie con No Man's Land di Danis Tanovic (a partire dalla stessa montatrice, Francesca Calvelli).
Vincitore del Pardo d'oro come migliore film a Locarno, il film si fregia anche del riconoscimento come migliore attore al protagonista Mohammed Bakri.