22 Luglio 2024. In seguito a un tragico incidente, al crollo di un ballatoio della Vela Celeste, 2000 dei suoi abitanti hanno dovuto abbandonare la propria abitazione. Queste famiglie sono state ricollocate in alloggi provvisori e aspettando di poter tornare in un nuovo quartiere in costruzione a Scampia, di poter tornare in quel luogo che, a dispetto dei tanti problemi, considerano casa, che ha lasciato un segno profondo nelle loro esistenze e nello loro anime. Da qui parte La diaspora delle Vele, il documentario di Francesca Comencini che è stato presentato alla Festa del Cinema di Roma, da quelle vite che sono state strappata al luogo con cui sentivano un legame fortissimo. Il film è una produzione Cattleya e Sky Studios, in collaborazione con il Comune di Napoli e il Comitato Vele di Scampia e arriverà su Sky e in streaming su NOW nel 2026.
Il legame di Francesca Comencini con le Vele
In occasione della presentazione alla Festa di Roma, abbiamo potuto intervistare Francesca Comencini e ci siamo fatti raccontare, come punto di partenza della nostra chiacchierata, da dove nascesse il desiderio di raccontare quel luogo e questo particolare aspetto che lo caratterizza. "Diciamo che c'era un legame da parte mia e anche della produzione", ci ha spiegato la regista, "perché Scampia è un luogo che abbiamo frequentato, a cui ci siamo legati, girando io parte della serie Gomorra, quindi un posto che conosco, a cui ero molto legata. Mi è stato proposto da Cattleya per cogliere questo momento in cui le persone cambiavano, venivano spostate dalle loro case, questo momento difficile però anche pieno di possibilità e di speranza. E quindi per me è stata quasi una restituzione, cioè tornare in un luogo a cui ero legata e dare voce finalmente agli abitanti delle Vele, che di fatto forse non avevano avuto abbastanza, raccontare dal loro punto di vista quel luogo."
L'umanità del popolo delle Vele
E infatti traspare questa intenzione guardando La diaspora delle Vele, è evidente l'umanità che la regista riesce a cogliere e comunicare, sottolineando la voglia di tornare e il senso di appartenenza. "La loro idea fissa è il ritorno, loro vogliono tornare lì, quella è la loro comunità" ha sottolineato la regista, "Ed è questa la cosa veramente potente, anche universale, secondo me, di questo piccolo documentario, che avere una comunità è forse una delle cose più importanti della vita. E loro avevano una comunità là. Credo questo faccia eco in tutti e tutte noi, perché è un periodo storico in cui tendiamo a essere isolati, a essere soli, a mancare proprio di questa comunità. E loro fanno parte, si sentono visti, ciascuno con la sua storia. Per vivere noi abbiamo bisogno di una comunità e loro ce l'hanno avuta e la vogliono ritrovare. Per quanto sia problematica, quella è la loro storia, è la loro comunità." Qualcosa che ha sorpreso la Comencini, almeno per l'intensità che si rivelata nelle intervista agli abitanti evacuati dalle Vele.
La diaspora delle Vele e la dignità dei suoi abitanti
Se la forza di questo desiderio ha sorpreso in parte la regista, le abbiamo chiesto se ci fosse qualcosa che ha individuato nel corso delle riprese de La diaspora delle Vele che ha trovato diverso da quello che aveva percepito nelle altre sue visite a quei luoghi. "Un po' l'avevo percepito, ma mi ha colpito questo senso di dignità e di fierezza, di questo posto di cui sono stati detti molti stereotipi, molte cose. Questo non vittimismo, anche questa autocritica: i problemi loro li raccontano, chi li ha avuti li dice, però una fierezza del luogo a cui appartengono e questa dignità nel raccontare. Me lo immaginavo però è stato travolgente, è stato ancora più forte, veramente molto forte."
Si percepisce l'autocritica nel sentire i racconti di una normalità deformata in cui molti sono vissuti e cresciuti. Quanto è difficile il cambiamento, quando ci si trova a contatto con realtà diverse? Un tema enorme, come la stessa Francesca Comencini ci spiega, perché "è un percorso che ho fatto insieme alle istituzioni, con i comitati di quartiere. Forse è un buon inizio avere un lavoro, perché c'è un tasso di disoccupazione molto alto. Ho raccontato cercando di avere la massima empatia, cercando di rendere il più universale possibile questi racconti in cui tutti potessero riconoscersi senza identificare questi esseri umani come abitanti delle Vele, ma semplicemente come esseri umani che parlano a tutti. Le soluzioni per un problema così vasto come quello delle strade sbagliate, della criminalità o altri percorsi, diciamo, sbagliati, è difficilissimo. Forse il lavoro è un buon inizio."