La clonazione e la labilità della morale
La clonazione in primo piano. Se perdeste ciò che più amate al mondo, cosa sareste disposti a fare per riaverlo?, così recita il claim del teaser pubblicitario.
Un Nick Hamm tornato alla regia dopo l'interessante quanto sfortunato The Hole, un cast davvero buono col bravissimo Greg Kinnear (The Gift) e la bellissima Rebecca Romijn-Stamos (X-Men) accompagnati da un Robert De Niro (finalmente tornato a recitare ai suoi livelli) e dal piccolo talento Cameron Bright (Birth). E poi un plot studiato a dovere da Mark Bomback (Constantine) per coinvolgere lo spettatore in una vicenda altamente drammatica con risvolti soprannaturali.
Insomma una serie di elementi che potevano, anzi dovevano combinarsi tra loro per dar vita ad un film convincente, riflessivo nella tematica affrontata ed incisivo nelle atmosfere cupe ad alta tensione. E invece ancora una volta ci siamo trovati di fronte ad una pellicola che si fa apprezzare a metà e che lascia interdetti in più di un'occasione. In particolare le criticità, lungi dall'essere individuabili nelle performance degli attori, sono imputabili proprio all'evoluzione della narrazione che beneficia di un incipit molto intenso, mai frammentario e capace di catapultarci direttamente dentro lo stato emotivo della coppia protagonista, atterrita dalla prematura quanto inaspettata scomparsa del figlio.
Il ritmo si fa addirittura più elevato con l'ipotesi della clonazione come soluzione immediata: quasi automaticamente la presunta amoralità della scelta viene sovrastata dall'intensità del dolore provato dai genitori che finiscono per accettare la proposta. Ciò che invece delude è tutta la seconda parte, quella che fotografa l'adolescenza del "nuovo bambino", e che procede sempre più fiaccamente, in un crescendo di situazioni trite e ritrite, di dialoghi non proprio brillanti e di richiami cinematografici decisamente poco riusciti (da Shining a Il presagio, per non parlare de Il sesto senso di cui il film di Hamm sembra forte debitore). Il tutto fino ad un finale quanto meno opinabile.
Un vero peccato in quanto sono apparse azzeccate alcune scelte stilistiche tanto sul piano visivo (vibrante la fotografia di Morgenthau) quanto sul piano della direzione artistica (preziosissimo il lavoro di Arv Grewal, cresciuto moltissimo dopo le esperienze con David Cronenberg ed col recente remake di Dawn of the Dead). E poi vista la mole del finanziamento della Lions GateEntertainment e della 2929 Entertainment, la chance offerta ad Hamm poteva essere sfruttata in modo migliore.