La recensione de La Casa di Carta: Corea, (il titolo completo è Money Heist: Korea - Joint Economic Area), la nuova serie disponibile in streaming (con i primi sei episodi) dal 24 giugno su Netflix, inizia con una sorpresa, che vedrete dai primi minuti dell'episodio 1. La storia parte con un'utopia, almeno apparente, ed è proiettata in un futuro prossimo venturo: siamo nel 2025 e le due Coree, la Corea del Nord e la Corea del Sud, hanno cessato le ostilità e fatto cadere i muri. C'è una nuova possibilità di circolazione e di lavoro, e un'ondata di migrazioni parte dal nord verso il più ricco sud, non senza polemiche. I due stati hanno deciso di emettere una nuova valuta comune, ed è nella nuova Zecca, nell'area comune, che viene stampata la nuova moneta. È questa la casa di carte che il Professore e il suo gruppo prenderanno d'assalto. La Casa di Carta: Corea è originale proprio per lo scenario utopico (o distopico, a seconda dei punti di vista...) e futuro dove è ambientata, che è l'occasione per fare un discorso politico legato alla nazione in cui è prodotta. Per altri versi vive di una trama molto simile all'originale. È allo stesso tempo remake e rilettura: interessante per sfumature, meno per la storia, soprattutto per chi ha già visto l'originale.
Il Professore e la sua banda all'assalto della Zecca
La trama de La casa di carta: Corea è nota, con qualche aggiunta che ne cambia leggermente gli scenari. Il Professore, un uomo dall'intelligenza speciale, raduna un gruppo di persone senza speranza - ladri, hacker, truffatori - per costruire una squadra e condurli alla rapina più grande della Storia. L'obiettivo è la nuova Zecca delle due Coree, che stampa le banconote della nuova valuta comune. Tute rosse, maschere sul volto, la banda irrompe nella Zecca e fa vestire gli ostaggi come loro, in modo che la polizia non possa distinguerli. Ben presto capiremo che l'obiettivo non è rubare il denaro all'interno della Zecca, ma...
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Tokyo, la voce narrante
È una ragazza, giovane e disperata, a raccontarci la storia con la sua voce narrante. Lo intuiamo, a lo capiremo poco dopo: il suo nome di battaglia sarà Tokyo (Jun Jong-seo), e ci ha racconta, in un'introduzione molto più lunga di quella della serie originale, la situazione immaginaria che stanno vivendo la Corea del Nord e la Corea del Sud. Ci racconta del suo arrivo a Seoul piena di speranza, di voglia di libertà, ma anche del fatto che si è dovuta subito scontrare con persone vilente e che si approfittavano delle persone. Il Capitalismo crea solo diseguaglianze, è questo che ha capito subito Tokyo, e ad arricchirsi è solo chi è già ricco. "Erano i ladri a fare i soldi in questo mondo, allora perché non fare davvero la ladra?"
Più duro, più violento, più folle
Rispetto a La casa di carta versione spagnola, La Casa di Carta: Corea è (oltre a presentare episodi molto più lunghi) più duro, più violento, più folle, come la cultura coreana, che più volte abbiamo conosciuto grazie al cinema, pretende. I neon di Seoul, quelle luci accese, ci sembrano proiettare la storia in un mondo più lontano, nel futuro, più spietato. Ma è solo un attimo. Perché, nell'aula del Professore, e nella Zecca, al di là dell'architettura orientale che la contraddistingue all'esterno, le atmosfere sono quelle. E i fatti anche. La trama è la stessa, gli snodi narrativi principali anche, e, come detto, la storia si distingue soprattutto per le sfumature, per i sottotesti politici e sociali, per il fatto di vivere in un mondo che è molto diverso dalla Spagna dove abbiamo iniziato ad amare il Professore e la sua banda.
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Park Hae-soo, da Squid Game a La casa di carta
E, ovviamente, la storia si distingue anche per i volti. Il Professore (Yoo Ji-taeh) ha gli occhiali, ma non la barba. Rio (Lee Hyun-woo) è giovanissimo, ma - ce lo presenta così proprio Tokyo - ha l'aria di un ragazzino di una band K-Pop. Denver (Kim Ji-hun), che qui ha i capelli lunghissimi, è tipo da lotta di strada, sceglie il suo nome perché la città è sulle Montagne Rocciose, le Rocky Mountains, e lui ama Rocky, anche se scopre che la storia è ambientata a Philadelphia. C'è Mosca (Lee Won-jong), il padre di Denver, ex minatore ed esperto di scavi, c'è Nairobi (Jang Yoon-ju), folle, bugiarda e madre della falsificazione. E poi Helsinki e Oslo (Lee Kyu-ho), due che, si dice, facevano parte di una banda di gangster che hanno eliminato uno ad uno fino a rimanere da soli. E poi c'è Berlino, la persona più ricercata della Corea del Nord, folle e affascinante. È interpretato da Park Hae-soo, che in molti riconoscerete per la sua presenza in Squid Game. E Tokyo, perché ha scelto il nome di una città così vicina? "Perché faremo cose molto brutte, come loro hanno fatto a noi". È il suo punto di vista che sposiamo, e conosciamo i personaggi attraverso quello che pensa lei.
Con altri volti non è la stessa cosa
Come potrete immaginare scorrendo questi nomi, è davvero difficile, all'inizio, vederli con un altro volto. Uno dei tratti vincenti della serie creata da Alex Pina è stato quello di scegliere i volti giusti per personaggi che avevano ognuno delle caratteristiche uniche. Quei volti sono stati decisivi nel creare l'aura dei personaggi, nel farceli diventare amici, familiari. Oggi dobbiamo ricominciare da capo. E non è facile associare altri volti, che a prima vista ci sembrano efficaci ma più anonimi, a personaggi che abbiamo conosciuto, e amato, con altre facce, altri volti.
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Forse non è a noi che La casa di carta: Corea è destinata
Ma forse non è a noi che abbiamo visto La casa di carta che La Casa di Carta: Corea è destinata. Lo sappiamo da tempo, lo abbiamo imparato con gli ormai noti remake americani dei film europei: i remake si fanno per far arrivare a un pubblico una storia con attori che siano a loro familiari. È questo che, per fare solo un esempio, ha portato Michael Haneke a girare una versione identica del suo Funny Games con attori che fossero noti al pubblico americano. Così, probabilmente, La Casa di Carta: Corea è destinata soprattutto al pubblico coreano. Non perché vedere un prodotto Made In Corea non sia per noi interessante, al contrario. Ma perché La casa ci carta, più che altri prodotti, vive di trama, di sorprese, di svolte narrative. E, al di là della curiosità dell'adattamento, e dell'ambientazione coreana (le maschere non sono quelle di Salvador Dalì, ma quelle della tradizione coreana Hahoe), si è meno motivati a seguire una storia in cui sappiamo già cosa accade. Per restare nel gergo della storia, allora, La Casa di Carta: Corea è una copia ma non contraffazione, è allo stesso tempo remake e rilettura. È la cover K-Pop di una ballata spagnola.
Conclusioni
Come vi abbiamo spiegato nella recensione de La Casa di Carta: Corea, la serie è originale per lo scenario utopico (o distopico, a seconda dei punti di vista...) e futuro dove è ambientata, che è l'occasione per fare un discorso politico. Per altri versi vive di una trama molto simile all'originale. È allo stesso tempo remake e rilettura: interessante per le sfumature, meno per la storia, soprattutto per chi ha già visto l'originale.
Perché ci piace
- L'idea di ambientare la serie in un futuro dove le due Coree sono in pace, ed emettono valuta comune.
- Il tono è coerente con cinema e serialità coreana, più violento e folle.
- Gli attori sono affascinanti e in parte...
Cosa non va
- ...ma è difficile pensare ai personaggi molto amati con volti diversi.
- La trama è la stessa e, per una serie che vive di svolte narrative, è meno interessante da vedere per chi ha già visto l'originale.