A ridosso del nuovo millennio, Walt Disney Pictures decise di prova qualcosa di nuovo in ambito cinematografico. Parallelamente ai classici più sperimentali e ambiziosi di quegli anni di passaggio dall'animazione classica al digitale (pensiamo a Le follie dell'imperatore, Atlantis o al Pianeta del Tesoro), la Casa di Topolino decise di trasporre alcune delle attrazioni più amate dei suoi parchi a tema in lungometraggi live-action, investendo anche ingenti risorse creative ed economiche. Due furono i titoli di punta di questo progetto, ed entrambi videro la luce nel 2023, ormai vent'anni fa: uno trasformatosi in uno dei franchise più remunerativi della storia del cinema, l'altro invece divenuto uno scult.
Il primo è Pirati dei Caraibi: La maledizione della prima luna di Gore Verbinski, film che costò l'acclamazione collettiva a Johnny Depp per il suo Jack Sparrow regalandogli anche la sua prima nomination agli Oscar. Il secondo era invece La casa dei fantasmi di Rob Minkoff, sgangherato adattamento cinematografico della più nota e apprezzata attrazione Disney con protagonista Eddie Murphy e diretto dall'idolatrata co-regista de Il Re Leone e La Sirenetta. Un'opera che ricordiamo oggi con affetto e simpatia in occasione dell'uscita nelle sale del reboot di Justin Simien (qui la nostra recensione) con Owen Wilson, Rosario Dawson e Danny DeVito.
Da New York a New Orleans
Come dicevamo, Disney aveva intenzioni abbastanza serie con queste trasposizioni, motivo per cui scelse di chiamare alcuni dei registi più quotati dell'epoca. Gore Verbinski, ad esempio, usciva dal successo internazionale di The Ring e la società necessitava di un filmmaker in grado di unire orrore, avventura e commerciale insieme in un solido blockbuster. Per La casa dei fantasmi il discorso fu invece differente, legato alla tradizione Disney e al rispetto concettuale dell'attrazione, motivo per cui la compagnia scelse un habitué dello studio come Minkoff alla regia. Il cineasta era comunque fresco dei buoni successi dei due Stuart Little, elemento che convinse definitivamente l'azienda ad affidare a lui le redini del progetto scritto da David Berenbaum. Il film sarebbe dovuto essere ambientato inizialmente nell'Upstate di New York, così da richiamare indirettamente alcune vibrazioni a' la Ghostbusters, ma poi la produzione scelse di abbracciare l'identità originale dell'attrazione e spostare il setting a New Orleans, in Louisiana, essendo la stessa situata nella New Orleans Square del World Disney World Resort di Orlando. La storia venne poi cucita perfettamente addosso all'attrazione, pensando a un agente immobiliare - Jim Evers - troppo preso dal lavoro e poco attento alla famiglia.
Quando la moglie viene però invitata al misterioso Maniero Gracey decide di andare con lei e i figli fiutando l'affare della vita, ma la scelta si rivela sbagliata e pericolosa, mettendo la moglie al centro di una dannata storia d'amore centenaria con tanto di complotto ultraterreno. Pensate inoltre che la casa venne costruita praticamente da zero in poche settimane imitando la facciata iconica dell'attrazione di Orlando, inserendo qui e lì anche diversi richiami e citazioni. L'idea era dunque quella di fare le cose in grande, ma qualcosa non funzionò, in primis la scelta di far uscire il film pochi mesi dopo La maledizione della prima luna, che al tempo settò un nuovo standard per la qualità degli effetti visivi e il modo di concepire un blockbuster mainstream.
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Infestato e decantato
Volontà della Disney era adattare su grande schermo paura e divertimento dell'attrazione dei parchi a tema. Non una paura qualsiasi, comunque, ma quella jump scare, da salto sulla sedia e non da terrore psicologico. L'anima del progetto era infatti colma di leggerezza di genere, eppure non convinse come avrebbe potuto e dovuto. Mentre il film di Verbinski era già assorto e instant cult nel periodo estivo, La casa dei fantasmi faticò in inverno a tenere insieme gli elementi costitutivi dell'opera, imboccando il sentiero opposto. In sostanza, non faceva paura e il divertimento era pressoché concentrato nell'interpretazione fisica, espressiva e macchiettistica di Eddie Murphy, solito mattatore istrionico in un titolo che però aveva davvero poco da dire e nessuna voglia di sorprendere. Intratteneva bene, comunque, e riportava sporadicamente delle citazioni dirette dell'attrazione, la frase "c'è sempre la mia strada" - che è un must a Orlando - o la presenza dell'indovina Madame Leota (che troviamo anche nel reboot del 2023). Gli effetti speciali dei fantasmi erano poi concettualmente studiati per renderli sempre più "morti" a seconda della distanza dalla magione infestata, ma il rendering cinematografico impallidiva al cospetto dalla ciurma di dannati di Barbossa vista appena pochi mesi prima.
Stesso studio, un investimento più o meno simile, due grandi interpreti protagonisti ma risultati opposti. C'è poi da dire che la presenza scenica del villain di Terence Stamp aveva un suo gotico e divertito fascino, ma in linea di massima anche questo venne sprecato in virtù di scelte narrative troppo votate a un'azione non richiesta e un velato tradimento del genere. La critica fu plebiscitaria nella stroncatura del film di Minkoff, ma a dispetto dalla fredda accoglienza della stampa specializzata il film è riuscito ad entrare nel corso degli anni nell'immaginario collettivo, ricordato, rivisto, chiacchierato e in alcune occasioni difeso e decantato per la sua attinenza all'attrazione Disney e la sua pulsante vena comedy miscelata con arguzia all'orrore. Rivederlo oggi mette in risalto ogni difetto che già allora era più o meno evidente, ma c'è da dire che non ha perso affatto la sua grande personalità, funzionando al contrario ancora molto bene nei passaggi dove già al tempo funzionava. È come se il tempo si fosse fermato al 2003 nonostante i vent'anni sul calendario, tra ricordi, dubbi e certezze che restano intatti e pronti a infestare il rewatch dell'opera.