La ballata di Lala e Guayi
L'opera seconda di Lucia Puenzo è una disperata ballata sull'impossibilità dell'amore, di quello che fonde in un corpo solo, ma deve scontrarsi con i fantasmi del passato. Dopo XXY, la giovane Inés Efron è ancora la sua baby-musa, espressione di una purezza rimasta intatta che la regista argentina riesce a cogliere soprattutto quando ne incornicia il volto in intensi primi piani, troppo spesso rigati dal pianto. El niño pez la mette nuovamente in una condizione comunemente definita 'diversa', immergendola anima e corpo in una storia d'amore lesbo che per una volta non deve lottare per accettarsi o per farsi accettare, ma che va a cozzare invece con l'orrore di un passato che ha lasciato costruire il presente sulle sabbie mobili e che poche speranze lascia al futuro.
Come nel suo precedente lavoro, la Puenzo lavora soprattutto sulle atmosfere, schizza di onirismo il suo film, ma si lascia prendere la mano e finisce con l'eccedere nel melodramma. Tratto da un racconto da lei stessa scritto nel 2004, El niño pez racconta dell'amore tra Lala, una giovane argentina figlia di un giudice e Guayi, sua cameriera paraguayana diciassettenne che non esita a concedersi anche agli uomini, tra cui proprio il padre della sua amante. Il film parte dal viaggio di Lala che si fa occasione per una lunga carrellata di drammatici ricordi, spezzando il racconto su diversi piani temporali, uno stratagemma narrativo ormai abusato e per questo limitante nel trasporto emotivo. Attraverso una serie di flashback scopriamo tutto ciò che è stato in precedenza e che ha portato Lala fino in Paraguay, il luogo sognato dove andare a vivere con la ragazza che ama che si rivelerà essere il grembo dell'orrore.
La Puenzo realizza un film di sognante violenza, un dramma 'liquido', che ci fa scivolare addosso anche il sudore delle protagoniste che avvolge in inquadrature che ribollono di passione. Non riesce però a contenersi in questo precipitare il racconto nella tragedia, sbilanciandosi pericolosamente verso il territorio delle telenovelas, anche se la parte finale, tra sangue e cani, ricorda molto da vicino Amores perros di Alejandro González Iñárritu. Se per buona parte del film, la regista riesce a mantenere il suo tocco delicato nel suo avvicinarsi alle protagoniste e al loro smarrimento, d'improvviso la storia si lascia andare a una certa esasperazione, incattivendosi e finendo a parlare di pedofilia e di atrocità in terra argentina che fanno strabordare El niño pez oltre i limiti del lecito. Qualche passaggio di regia tocca vette prodigiose e questo ci conforta sulle prossime opere della Puenzo, attenta ricamatrice delle sensibilità delle generazioni più giovani. Attorno a queste storie d'amore omosessuale c'è però una continua tensione alla sciagura che comincia a stuccare. La verità è che d'amore non sempre si muore.