L'uomo dei sogni
Il mondo ha ancora bisogno di credere nelle favole, oggi più che mai. E il cinema, in particolar modo la fabbrica dei sogni hollywoodiana, rimane nonostante tutto il luogo privilegiato per l'elaborazione dell'immaginario popolare. Durante la Grande Depressione del 1929 ci pensavano le commedie utopiche di Frank Capra a rincuorare il popolo americano. Anche in questo periodo, dominato dalla crisi finanziaria globale, il pubblico nutre il medesimo bisogno di catarsi e non è un caso che gli schermi siano affollati di storie che privilegiano la dimensione del fantastico e del favolistico (inclusa la rivisitazione di tutte le fiabe classiche). Del resto, titoli recenti come Il pescatore di sogni non fanno che dimostrare la necessità di continuare a credere nell'impossibile. E anche La mia vita è uno zoo, ultima incursione cinematografica di un autore da sempre "ottimista" come Cameron Crowe, sembra essere un film perfetto per il momento storico in cui viviamo: nient'altro che una favola contemporanea, per di più in grado di far maggiormente presa sullo spettatore perché tratta da eventi realmente accaduti.
Adattamento del romanzo autobiografico di Benjamin Mee, We Bought a Zoo (questo è anche il titolo originale del film) è l'incredibile quanto autentico resoconto della folle impresa di un uomo che decide di mollare tutto per trasferirsi assieme ai suoi bambini in un vecchio zoo in rovina, con l'obiettivo di riportarlo a nuova vita. Crowe trasforma in parte la storia originale trasponendola dall'Inghilterra agli Stati Uniti e soprattutto innestandovi delle tematiche a lui care, come l'elaborazione del lutto, il rapporto padre - figlio, le problematiche adolescenziali e il superamento delle crisi esistenziali. Nel film, infatti, la stramba idea di acquistare uno zoo rappresenta per Benjamin Mee (Matt Damon) un modo - decisamente insolito - di superare il lutto della moglie e di far recuperare la joie de vivre ai suoi due figli, l'adolescente Dylan (Colin Ford) e la piccola Rosie (Maggie Elizabeth Jones). Il loro percorso si incrocerà con quello di altri individui disillusi dalla vita, in particolare la custode dello zoo Kelly (Scarlett Johansson) e la giovane aiutante Lily (Elle Fanning), che troveranno nuovamente fiducia in loro stessi. Come in tutte le favole che si rispettino il lieto fine è d'obbligo e la morale insita nel film è semplice e cristallina: bisogna avere il coraggio di evadere dalla gabbia interiore in cui ci ha confinato la depressione, per poter tornare a vedere finalmente il sole. Cameron Crowe tenta di personalizzare il racconto, marcando qua e là la regia con tracce delle sue ossessioni (in particolare quella per la musica, che rivive in una trascinante colonna sonora composta da Jónsi, il cantante del celebre gruppo indie islandese Sigur Rós), ma rimane ugualmente confinato dentro gli schemi troppo rigidi del family movie. Del resto bambini e animali sono da sempre la spina nel fianco di qualunque regista, e risulta davvero arduo anche per gli autori più blasonati riuscire a non cedere ai ricatti della retorica, del buonismo e del melenso. La mia vita è uno zoo, dunque, non riesce a elevarsi al di sopra dei canoni del blockbuster rivolto in particolare a un pubblico infantile, mentre gli adulti riusciranno con difficoltà a commuoversi e ad appassionarsi all'elementarità dell'intreccio, per di più tirato decisamente troppo per le lunghe.
Crowe riesce tuttavia, come suo solito, a valorizzare al meglio i suoi interpreti, puntando su un Matt Damon sempre più maturo e convincente nel ruolo di "bravo ragazzo", su una Scarlett Johansson insolitamente dimessa e proprio per questo più concentrata sul suo personaggio, e su piccoli attori molto capaci che fortunatamente non si trasformano in leziose macchiette.