Impresa di certo ardimentosa quella di cimentarsi nella traduzione cinematografica del capolavoro di Giovanni Verga, I Malavoglia, romanzo dalla complicatissima struttura polifonica, caratterizzato da una visione ideologica molto forte e da uno sguardo disincantato e lucido sulle ataviche contraddizioni della Questione meridionale. Il siciliano Pasquale Scimeca, da molti anni studioso dell'opera del maestro catanese - tanto da essere stato nominato direttore artistico delle manifestazioni verghiane di Vizzini - si era già accostato alla poetica del fondatore del verismo con l'adattamento scabro e rigoroso della cupa novella Rosso Malpelo. Con Malavoglia tenta la scivolosa e impervia strada dell'attualizzazione, trasponendo le sciagurate vicende della famiglia di pescatori, protagonista del Ciclo dei vinti verghiano, nella realtà dei nostri giorni. L'insolito esperimento può dirsi riuscito proprio perché Scimeca realizza una sua personalissima visione dell'opera, influenzata da un'impronta di denuncia sociale che è tipica del regista di Placido Rizzotto; ma al tempo stesso si dimostra rispettoso del testo originale e non ne tradisce quella che è la sua essenza più profonda. I Malavoglia divengono, così, paradigmi di una condizione universale, emblema delle sofferenze degli abitanti del Sud di ogni epoca, ma anche esempio di riscatto e di miglioramento sociale, affidate all'intraprendenza delle nuove generazioni.
Durante una breve ma, al tempo stesso articolata e densa intervista, il regista rende ancora più esplicito il suo personale punto di vista nei confronti dell'opera, spiega alcune scelte stilistiche, chiarisce alcuni nodi relativi alla collaborazione con alcuni scrittori come Tonino Guerra e Vincenzo Consolo, e sconfina anche nei territori dell'attualità politica, sottolineando l'apporto fondamentale della popolazione migrante nella nostra società.
Pasquale Scimeca: I Malavoglia è un romanzo complesso e stratificato, e dunque per trasporlo sullo schermo era necessario seguire una particolare chiave di lettura. Verga con il suo capolavoro ha raccontato il tempo in cui viveva, la Sicilia di fine Ottocento, appena unificatasi con L'Italia. Io, invece, ho voluto utilizzare questo romanzo come "grimaldello" per raccontare il mio tempo, sfruttandolo come ispirazione per parlare dei "vinti" che vivono nel Sud di oggigiorno.
I Malavoglia possiede, infatti, una portata universale: è un'opera che indaga sugli uomini sfruttati e discriminati di ogni tempo. Raccontare la realtà contemporanea è una faccenda estremamente complicata. Per descrivere uno scenario così disomogeneo e frastagliato come quello attuale ho sentito la necessità di affidarmi a un punto di riferimento fondamentale come quello del romanzo di Giovanni Verga, esattamente come Luchino Visconti, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, ha avuto il bisogno di partire da I Malavoglia per descrivere una situazione sociale nella quale viveva.
Per quanto concerne l'elaborazione della sceneggiatura, questa volta, oltre all'abituale collaborazione con Nennella Bonaiuto, ha intrapreso anche un inedito sodalizio con Tonino Guerra. Che tipo di apporto ha fornito il noto scrittore alla stesura dell'adattamento?.
Mi sono accostato a Tonino Guerra come un "giovane" che entra in contatto con un vero e proprio mito vivente, autore di capolavori assoluti della storia del cinema. Si è trattato, insomma, di un rapporto improntato su una profondissima stima e rispetto, quasi di deferenza, nei confronti dello scrittore, che tuttavia ormai partecipa molto limitatamente alla stesura vera e propria dei copioni. La sceneggiatura è stata quindi realizzata soprattutto da me e da Nennella Bonaiuto; ma l'apporto di Tonino si è rivelato fondamentale in termini di consigli e di suggerimenti, alcuni dei quali risultati davvero preziosi.
Si è trattato di un gioco nel quale ho coinvolto il mio amico Consolo. Nella scena in questione lo scrittore si confronta direttamente con Padron 'Ntoni, facendogli una domanda molto spesso tralasciata dalla critica letteraria: da dove deriva il nome "Provvidenza"? Questo appellativo, affidato alla barca del pescatore, rivela una delle caratteristiche salienti di Verga, anche questa di solito ignorata dagli studiosi, vale a dire il sottile umorismo che animava l'autore. A parer mio, si tratta di una presa di posizione contro la visione fideistica di un autore come Alessandro Manzoni, che affidava il destino dei propri personaggi esclusivamente alla volontà divina. L'agnostico Verga, invece, sottolinea come gli uomini devono contare solo sulle proprie azioni per incidere nella realtà in cui vivono.
Un altro aspetto del film che accomuna il suo stile a quello veristico del romanzo di Verga è costituito dalla scelta di affidarsi ad attori non professionisti, che contribuiscono a trasmettere una forte sensazione di autenticità.
Tutti gli attori sono espressione della realtà in cui vivono: il tunisino Naceur Ben Hammouda, che interpreta Alef - Alfio, è stato per molti anni un immigrato clandestino, Giuseppe Firullo, che impersona l'anziano Padron 'Ntoni, è un vero pescatore di un paese del ragusano, mentre i ragazzi sono studenti quasi tutti alle prime esperienze sul set. Prima di essere attori sono soprattutto "persone", che vivono immersi nella vita e sperimentano ogni giorno sulla loro pelle la realtà del Sud, fatta anche di povertà, di degrado e di difficoltà ad affermare la propria esistenza.
Giovanni Verga è stato il fautore di una corrente letteraria che sosteneva la necessità da parte dello scrittore di distanziarsi dagli eventi narrati, svolgendo un ruolo di osservatore neutrale. Io ritengo però che questa posizione non possa essere più applicata nella realtà di oggi, e che l'unico modo per realizzare un cinema "reale" sia quello di raccontare la personale "verità" del regista attraverso la messa in evidenza del suo punto di vista. Ho voluto, dunque, prendere in prestito la storia dei Malavoglia per mostrate la mia visione del Sud, dando un messaggio di speranza alle nuove generazioni e sottolineando come sia possibile trovare una via di uscita alla povertà e alla desolazione grazie all'integrità e all'onestà. Ho cercato di focalizzarmi su alcune questioni che ritengo di importanza cruciale, come il tema della dignità del lavoro, che avevo già affrontato nel precedente adattamento della novella verghiana Rosso Malpelo. Oggi il concetto del lavoro è sempre più svilito, mentre invece rappresenta uno degli aspetti fondamentali dell'esistenza, attraverso il quale l'individuo ha la possibilità di realizzarsi e di interagire con il mondo che lo circonda.
È anche secondo quest'ottica che si deve intendere l'impiego all'interno del film delle massime e dei proverbi di Padron 'Ntoni, che vengono fatte rivivere dal nipote 'Ntoni sottoforma di musica rap?
Anche questo aspetto è relativo al rapporto che dobbiamo intrattenere sia con il passato che con il futuro. Come ho già detto, il mio film cerca di focalizzarsi sulla vita delle persone, e non bisogna dimenticare che tutti noi veniamo dal passato. La nostra intera esistenza è frutto di un processo di crescita e di maturazione che attinge costantemente alle conoscenze tramandate dalle precedenti generazioni. Come diceva anche Pier Paolo Pasolini non si deve dimenticare che la nostra civiltà viene ben prima della società di massa e del consumismo, ma è frutto di una cultura millenaria. È necessario, dunque, attingere ai valori del passato per poi trasformarli e a adattarli alle nuove esigenze del futuro.
Assolutamente no. Le ultime vicende d'attualità rappresentano soltanto una costruzione dei mass media, che viene portata avanti dalle classi dirigenti come strumento per distrarre l'opinione pubblica e per creare delle false situazioni di crisi. Al momento non c'è alcuna emergenza immigrazione: negli ultimi anni i barconi pieni di immigrati sono approdati in Sicilia sempre con cadenza regolare. Si tratta di un fenomeno inarrestabile, perché oggi viviamo in un "tempo di migrazioni". Le società contemporanee - basti pensare ai ricchi Stati Uniti - sono costruite sull'apporto e sulle risorse di numerose realtà multiculturali. E questo non vale solo ai nostri giorni: la stessa isola Siciliana è stata caratterizzata, fin dall'antichità, dal continuo scambio culturale con le altre civiltà del mediterraneo, dai fenici, ai greci, fino agli arabi, da cui abbiamo appreso molto. Non si possono erigere dei muri sul mare, i fenomeni migratori sono delle caratteristiche naturali, che anzi contribuiscono ad arricchire il nostro Paese.
È questo il motivo per cui ha deciso di ambientare questa nuova versione de I Malavoglia a Portopalo di Capo Passero, il comune più a sud dell'isola siciliana?
Una città che rappresenta quasi un paradosso: incarna l'estremo sud d'Europa, ma al tempo stesso si può considerare come il punto più settentrionale dell'Africa, dato che si trova al di sotto del parallelo di Tunisi. Portopalo, ma anche i comuni limitrofi come Pachino e Marzamemi, sono un crocevia di tratte migratorie, e hanno accolto numerosi migranti. È per questo che ho deciso di ambientare la nuova versione dei Malavoglia in questi territori, perché qui vivono i nuovi "vinti", protagonisti della realtà del Sud.
Dopo avere trasposto quello che considero il capolavoro di Giovanni Verga è difficile pensare di potersi cimentare nell'adattamento di un'altra opera dell'autore, almeno per il momento. Tutti i figli hanno bisogno prima o poi di "uccidere" metaforicamente il proprio padre e, anche io, dopo numerosi anni dedicati a questo mio "padre spirituale" penso di essere ormai riuscito ad esorcizzarlo, completando il mio personale ciclo di trasposizioni.
Per il momento è complicato pensare ad altri progetti futuri. Ho in serbo idee per nuovi lavori, ma necessitano di fondi per essere realizzati. Per adesso mi concentro sulla distribuzione di Malavoglia, sperando che possa ottenere un buon riscontro presso il pubblico.
Può aggiornarci sul progetto di cooperazione sociale che è partito con Rosso Malpelo, legato a una raccolta fondi per finanziare lo sviluppo e l'istruzione in alcune comunità della Bolivia?
Con i fondi raccolti dalla distribuzione del film è stato portato avanti un progetto di costruzione di cinque collegi in alcune comunità boliviane, riservati ai bambini che lavorano nelle miniere. In questo modo i bambini potranno ricevere un'istruzione gratuita e smettere così di essere sfruttati. Al momento sono stati costruiti tre collegi, ciascuno dei quali è in grado di ospitare un'ottantina di bimbi, e sono in corso attualmente i lavori per realizzare gli altri due.