Recensione Miss Fbi: Infiltrata Speciale (2005)

A visione terminata, resta da chiedersi che senso avesse produrre questo seguito, interrogarsi inutilmente sul perchè si continuino a produrre opere di così basso livello e tale piattezza.

L'inutilità di un seguito

Senza andare a scomodare il Cinema, quello con la C maiuscola, possiamo affermare che ci sono prodotti gradevoli in ogni genere, film validi all'interno del proprio habitat naturale, indipendentemente dal proprio valore cinematografico intrinseco.
Se un horror provoca i suoi sani salti sulla sedia di routine, se un film d'azione riesce a tenere alta l'attenzione e pompare adrenalina, se una commedia ci fa fare un paio di sane risate, possiamo sentirci liberi di affermare che, sì, tutto sommato, il film si può vedere.
Bene, non è questo il caso di Miss FBI: Infiltrata speciale.
Quando una commedia riesce a strappare un unico sorriso liberatorio all'avvio dei titoli di coda, no, non possiamo dire che il film tutto sommato si può vedere. Non ce la sentiamo.

Seguito di Miss Detective, il film vede Sandra Bullock vestire di nuovo i panni dell'agente dell'FBI Gracie Hart, e prende l'avvio pochi mesi dopo le vicende del primo episodio di quella che temiamo possa diventare una serie. Impegnata in un'azione sotto copertura per sventare una rapina in banca, la Hart viene riconosciuta da una cliente, allarmando i rapinatori e compromettendo l'operazione. Con la sua copertura saltata, alla Hart non resta che accettare la proposta del suo capo di essere il volto dell'FBI di rappresentare, cioè, il Bureau in apparizioni pubbliche, per esempio in talk show.
Rispetto al suo predecessore, a questo seguito manca anche l'esperienza di un attore del calibro di Michael Caine ad alzare il livello medio, quindi ci troviamo in balia di personaggi tanto antipatici e stereotipati da risultare fastidiosi e irritanti, Bullock in testa. Non siamo certo abituati a grandi prove d'attrice da parte sua, ma per accettare uno script di questo livello sembra che sia arrivata a un punto difficile della sua carriera.
Ma la sceneggiatura di Marc Lawrence non risparmia nemmeno gli altri membri del cast artistico, in cui figurano anche personaggi relativamente noti, quali William Shatner, Ernie Hudson, Regina King, Heather Burns, che, affannando nel tentativo di dare un senso alla loro partecipazione, forniscono prove poco convincenti. Anche il plot è semplicistico e mal sviluppato, un semplice pretesto per mettere insieme situazioni che dovrebbero risultare divertenti, ma lo scarso successo sul piano dell'umorismo non fa che accrescere il senso di disagio nei confronti del film.
Lawrence, già autore del primo episodio, non è qui aiutato nemmeno da John Pasquin, regista televisivo di vecchia data, che dirige con scarso mordente, dando vita a sequenze piatte e scialbe, o confuse e sciatte.

Poco altro da aggiungere per un film che ha nella banalità i suoi momenti più alti.
Resta da chiedersi che senso avesse produrre questo seguito, interrogarsi inutilmente sul perchè si continuino a produrre opere di così basso livello e tale piattezza.

Movieplayer.it

1.0/5